Berlusconi, la rivoluzione dell’estetica

Quando entrò nel calcio spiazzò tutti: il suo Milan sfidò i luoghi comuni e certe gerarchie, lanciò Capello e con Sacchi diede spettacolo
Berlusconi, la rivoluzione dell’estetica© Lapresse
Adalberto Bortolotti
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Come (devo aggiungere, purtroppo?) quasi sempre accade, nel calcio e altrove, di fronte a eventi destinati a cambiare il corso delle cose, il rumoroso ingresso di Silvio Berlusconi nel mondo del pallone fu compreso e seguito dalle masse meglio e prima che dai critici di professione. Mentre, infatti fra gli addetti ai lavori il sentimento più diffuso era la diffidenza verso quei rivoluzionari programmi dell’ultimo e ambizioso arrivato, il nuovo Milan toccava un numero di abbonati fragoroso, persino superiore a quello del Napoli, che si considerava inavvicinabile. In verità, tutti noi affezionati cultori del calcio e delle sue regole non scritte ci trovammo spiazzati di fronte a un così radicale capovolgimento dello spirito del gioco. Lasciamo perdere i primi mesi, con il glorioso monumento Liedholm in panca, poi rovesciato dai moti popolari e sostituito con l’allora giovane e inedito Fabio Capello, così bravo da artigliare allo spareggio la Coppa Uefa (e poi accantonato, per via di precedenti impegni, ma non gettato, anzi, mandato a studiare perché il futuro sarebbe stato suo).

Il Milan e il berlusconismo

Il Milan di Berlusconi parte dalla stagione successiva ed è una sfida aperta alle gerarchie consolidate e ai radicati luoghi comuni. Il berlusconismo, o berlusconesimo per i dotti, si articola in una serie di ardite, per molti eretiche, linee programmatiche, che proverò a sintetizzare. La prima: è obbligatorio pensare subito in grande. Inutile farsi avanti a piccoli passi, in punta di piedi per non dare fastidio. I club più potenti partono con anni di vantaggio: se seguiamo i loro metodi, diventeremo vecchi prima di raggiungerli. La seconda: vincere è già difficile, ma non deve bastarci. Occorre conquistare il pubblico con un grande spettacolo. Quindi allestire un cast di stelle, creando una forte concorrenza interna. La terza: se vogliamo arrivare ai grandi campioni prima degli altri, dobbiamo pagare di più. La quarta: anche il folclore ha la sua parte. Stupire, far parlare di noi. Gli arrivi in elicottero ai campi di allenamento, insieme a molte altre iniziative, rientrano in quest’ottica, magari pacchiana, però, funzionale. La quinta: i premi tradizionali sono aboliti. Esistono solo quelli per il primo posto, ovviamente altissimi. La sesta: l’allenatore deve essere in sintonia perfetta con la filosofia aziendale. In cambio avrà una tutela assoluta da parte della società.

Sacchi, Capello e la nascita del turnover

Deve essere giovane, motivato, instancabile e insaziabile. Dalla parentesi Capello si passa a Sacchi, ammirato in un doppio confronto di Coppa Italia sulla panchina del Parma, serie B, e subito arruolato. Gioca a zona come Liedholm, ma la zona di Sacchi è aggressiva, famelica. L’uomo giusto. Per un gioco spettacolare e dispendioso, è necessaria una rosa ampia. Nasce il turnover, guardato all’inizio con sospetto, considerato pericoloso come una grave malattia, perché insidia uno degli inamovibili presupposti del gioco, la netta distinzione fra titolari e riserve. Diventerà lo slogan più gettonato del calcio moderno, del calcio-spettacolo: una simbiosi tra due mondi, la logica dello spettacolo e le sue leggi applicate alla gestione dello sport. Fondamentale è il ruolo della televisione, che sino a quel momento aveva usato, pressoché gratuitamente, il calcio e che invece è costretta, anche per via dell’inedita concorrenza, a competere e a pagare prezzi sempre più alti per inserirlo nella programmazione. Ovviamente, per essere venduto bene, lo spettacolo deve essere di alta qualità. 

Con il Milan una rivoluzione culturale

Berlusconi ingaggia campioni, dentro e soprattutto fuori dai confini. Sacchi, dopo un avvio inquietante, fa giocare al Milan un calcio mai visto, almeno da queste parti, che rovescia i concetti atavici del difensivismo italiano e richiama a Milanello tecnici stranieri ansiosi di studiare e imitare il fenomeno. Credo che, al di là delle vittorie (importanti, ma altri cicli imponenti illuminano la storia del nostro calcio, dalla Juve anni Trenta dei cinque scudetti, al Grande Torino dell’immediato dopoguerra, all’Inter herreriana del Sessanta), sia questa autentica rivoluzione culturale a costruire il mito del Milan, che ha basi così solide da resistere al declino dei suoi profeti. Quando Sacchi esaurisce la sua carica, Berlusconi richiama Capello e il Milan vince ancora di più, almeno in Italia. Questa singolare vocazione a esaltare due tecnici antitetici, nei concetti di gioco e nel carattere, è la definitiva conferma della supremazia del club sui singoli, siano allenatori di grido o fuoriclasse epocali. Il club resta al centro del sistema, è il sole attorno al quale ruotano i pianeti. Di tutte le nuove regole del rivoluzionario codice rossonero, questa è l’ultima e la più importante.


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