Ranieri al Corriere dello Sport-Stadio: «Come mi piace questa Serie A»

Un’ora con il tecnico del Leicester trent’anni tra Italia, Spagna, Francia e Inghilterra
Fabio Massimo Splendore e Guido D'Ubaldo
7 min

ROMA - La vocazione da allenatore europeista l’ha respirata quasi subito. A 46 anni Claudio Ranieri era a Valencia e dopo una stagione di “prova” avrebbe vinto subito un Intertoto e una Coppa di Spagna. «Ho avuto la fortuna di girare città straordinarie», si siede nella sala dei forum al Corriere dello Sport e sorride. «Ecco il mio giornale». Lo dice da romano. In effetti scorri la carriera di Ranieri e ti lecchi i baffi: Cagliari, Napoli, Firenze, Valencia, che è l’unico posto in cui finora è tornato migliorandosi perché nel 2004 alzò la Supercoppa Europea. E Madrid (sponda Atletico), Londra (non il Chelsea straricco, quello pre-Abramovich: quando il magnate russo arrivò, lui fece le valige). E ancora Parma, Torino (leggi Juventus), Roma, la sua Roma, Milano (all’Inter) e Montecarlo. Un po’ per arte, un po’ per storia, un po’ per mare, qualità e scintillio della vita, per quel fascino che sprigionano le metropoli, Ranieri ha scelto bene. E in qualche modo il destino lo ha aiutato a scegliere. «A Napoli ho un ricordo che ha dell’incredibile: credo durò un mese e mezzo-due, abitavamo al Vomero con mia moglie e avevamo tutta la città sotto e il mare. Dormivamo con le tapparelle aperte e ci svegliavamo per forza alle sei, con la prima luce del sole, per goderci quello spettacolo. Una meraviglia, ce l’ho ancora davanti agli occhi». Il presente è Leicester, in qualche modo anche questo è un ritorno: nella Premier, dopo il Chelsea dal 2000 al 2004. Ranieri sorride: «Certe volte penso di essere un allenatore giusto arrivato in alcuni posti al momento sbagliato: per esempio io all’Inter ho dovuto vendere Coutinho e Motta. Penso di essere stato l’unico a vendere giocatori all’Inter».

A Leicester sta provando a costruire un altro piccolo miracolo. Ma un pensiero a dar fastidio in vetta lo fa?
«Io quello che penso è che ho fatto 15 punti e con altri 25 mi salvo. Poi è vero che la Premier quest’anno sembra aperta e incerta, il City dovrebbe far la parte del leone ma non penso che Van Gaal sbagli il secondo anno di fila così facilmente. Poi vedi certi risultati, noi abbiamo battuto il West Ham che aveva vinto in casa dell’Arsenal e contro il City. C’è incertezza quest’anno in Premier».

E il calcio italiano, paragonato a quello inglese, come lo vede, a che punto è?
«In grande ripresa. Stiamo tornando competitivi. I soldi fanno le squadre competitive, è sempre stato così. C’è stato un periodo in cui eravamo noi a dettare legge, portavamo due squadre in finale di Champions League. Poi, lo scenario è cambiato. E ora sta ricambiando. Certo, non si può ottenere tutto dall’oggi al domani, ma in Italia crediamo di farlo: vediamo la Juventus, grandissima squadra, grandissima dirigenza, però non si possono perdere tre giocatori come Pirlo, Tevez e Vidal e non risentirne pur rimpiazzandoli bene. Ora, Allegri deve avere il tempo di riassemblare e far capire bene ai nuovi quello che vuole».

Però il calcio inglese è più intenso, molto più veloce del nostro. O no?
«Ma sì, certo, è sempre stato così. E’ nel loro spirito. E quando un giocatore estero arriva in Inghilterra o si adatta a quella velocità di gioco e a quei contrasti anche. O è fuori contesto».

Ma ci si allena anche meno in Italia?
«No, ci si allena diversamente. Prendete noi in Inghilterra: al Leicester dopo la partita riposiamo, facciamo due giorni di allenamento, poi un altro di riposo e poi altri due in campo. E mai un doppio. Quando c’è la sosta della nazionale si lavora lunedì, martedì e mercoledì, poi quattro giorni di riposo. L’Atletico Madrid, per dirne una, so che si allena tutti i giorni e fa due doppi. La differenza quale è? Parlo dei miei: loro sono giovani, vogliono arrivare e in ogni seduta di allenamento danno il 120 per cento, con la stessa intensità per l’ora-l’ora e mezza in cui si lavora. Lì, nella loro testa, non c’è l’allenamento, sono tutte partite. E guardate che è così anche in Germania: io quest’anno ho avuto tempo di girare un po’, ho visto il Dortmund, il Leverkusen e l’Augsburg: tremila all’ora in ogni allenamento. In Italia questo non lo facciamo».

Come vede il campionato italiano? Davvero è senza una favorita e se è così questo come lo rende secondo il suo giudizio?
«Io lo vedo più bello, negli ultimi anni ce ne era una che scappava e le altre che dovevano decidere secondo posto e Champions. Invece, con il fatto che qualcuna ha perso giocatori importanti e altri hanno cambiato allenatori, c’è una situazione aperta, di maggiore equilibrio. In un vostro recente sondaggio, di pochi giorni fa, ho detto che la Roma è favorita, perché ha mantenuto l’allenatore con cui lavora da due stagioni e dove ha cambiato ha migliorato. Poi sono contento per la Fiorentina, per il Toro di Ventura che ha cambiato, ha detto, fatto e sta lassù».

In questo percorso lungo trent’anni in giro per l’Europa, quale è il calcio migliore che ha visto?
«Io dico il calcio inglese, che è il più mio. Lì c’è il mio spirito, io ero un difensore, non ero un grosso campione, ma non mollavo mai, ero sempre sul pezzo, se prendevo una botta mi rialzavo subito. Ero uno da Premier League».

Anche questo arricchisce lo spettacolo? Talvolta da noi dopo una botta si resta in terra un quarto d’ora...
«Ma io questo non lo posso dire, dico che se arrivi in Inghilterra ti devi adattare a un certo calcio e anche a certi comportamenti. Se no devi andare via».

Questo discoso sull’adattamento al calcio inglese può riguardare Cuadrado e Salah?
«Credo che il calcio di Premier League va a mille all’ora e in quest senso la velocità di Cuadrado non si esaltava come avrebbe dovuto, come in Italia, per esempio. Così come penso che Salah, egiziano, uomo del Sud, aveva probabilmente bisogno di un calore che a Londra non ha trovato e a Firenze e a Roma sì. Io l’ho visto in un paio di occasioni con il Chelsea, non ti dava la sensazione del giocatore libero: grande talento, ma non riusciva a esprimerlo».

A proposito del Chelsea... Stare sopra a Mourinho le dà un sottile piacere?
«No, per carità, lo ho già detto e ci tengo a ripeterlo. Io guardo sempre con simpatia alle squadre che ho allenato. E la storia con Mourinho è assolutamente datata. Direi antica».

Nel suo Leicester due giocatori si sono presi la copertina: Jamie Vardy e Riyad Mahrez. Ce li racconta?
«Vardy è venuto fuori da due anni, giocava nei Dilettanti. Velocissimo, pressa anche le tribune, sta facendo gol, in B ne ha fatti 16 gol, l’anno scorso 5 e quest’anno è cresciuto, ha trovato il suo equilibrio».

Leggi l'intervista completa sull'edizione odierna del Corriere dello Sport-Stadio


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