Real-Juve, la versione di Morata: «Era rigore, mi fido di Lucas»

L'attaccante racconta la sua stagione travagliata al Chelsea: «Il dolore era insopportabile, dovevo fare 2-3 punture al giorno»
Real-Juve, la versione di Morata: «Era rigore, mi fido di Lucas»
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ROMA - «Il contatto tra Benatia e Lucas Vazquez? Ho giocato con entrambe le squadre, non saprei. Ci ho pensato a casa, non sapevo cosa dire per i sentimenti che mi legano a entrambe. Poi ho parlato con Lucas Vazquez e mi ha detto che era rigore. Mi fido di lui, è mio amico. Buffon? No, con lui non ho parlato». Con queste parole in un'intervista a Marca Alvaro Morata spiega il suo punto di vista sull'episodio più discusso della gara del Bernabeu tra Real Madrid e Juventus.

DOLORE E PUNTURE - L'attaccante del Chelsea? poi ha raccontato la sua stagione complicata in Inghilterra: «Mi trovavo in una squadra nuova, tutto era perfetto. Avevamo vinto con l'Atletico, andavamo bene in Premier ma poi tutto cominciò ad andar male. Dovetti andare molte volte in Germania per ricevere un trattamento nel quale mi facevano punture alla spalla. Mi faceva molto male, ma dovevo tornare a Londra il giorno dopo per allenarmi. Credo di aver sbagliato. Dovevo fermarmi. Quando sei infortunato, sei infortunato e basta. Puoi giocare una partita ma non trascinartelo per un mese. E poi in quel periodo non sono stato fortunato: se avessi segnato qualche gol, qualcosa sarebbe cambiato. E' la testa che comanda, che dirige tutto. Il giorno prima della gara con il West Ham mi dissero che sarei diventato padre. Volevo giocare ma nel riscaldamento non potevo muovermi. Dissi al medico di farmi una puntura perché dovevo giocare. Volevo dedicare un gol a quelli che sarebbero stati i miei figli e da quel momento entrai in una dinamica per la quale non volevo smettere di dimostrare. E tutto andò male».

IL CALVARIO - Alvaro ha vissuto settimane molto dure a livello psicologico: «Ho sofferto molto. Tornavo a casa dopo le partite e gli allenamenti e dovevo farmi un paio di punture per non sentire il dolore. Non mi dicevano: "Ti sei rotto qualcosa". Ho fatto risonanze a tutti i muscoli del gluteo, alla spalla. Mentre cenavo o guidavo all'improvviso sentivo un colpo e dovevo fermarmi. Non potevo neanche guidare. Era come il nervo sciatico. Volevo, volevo, però niente. Tornai a giocare in una partita di Coppa. Sembrava che tutto andasse bene e poi è tornato il dolore. Non dissi niente, lo sapeva solo il medico, l'allenatore e la mia famiglia. E' stato molto complicato».


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