Pirone: Vado sulla luna e pianto la bandiera del Napoli

La bomber si definisce "vesuviana". Undici anni di Napoli poi la Res Roma e da quest'anno al Verona tricolore. Ha segnato in Champions League. "Se questo è il mio lavoro allora sono fortunata". Tifa Napoli e ha nostalgia della sua terra: "Lì voglio tornare, tra Vesuvio e mare"
Pirone: Vado sulla luna e pianto la bandiera del Napoli
Valeria Ancione
10 min

ROMA - Tra Vesuvio e Tirreno di fuoco dormiente e di acqua. Valeria è figlia di questo contrasto. Coesistenza di diversa bellezza, come un matrimonio impossibile ma secondo natura che genera e alimenta eterna bellezza. Napule è mille culure... Napule è Valeria Pirone. “Napoli è la mia città, non la cambierei con niente. E lì io tornerò”.

Il giorno del ritorno è quello più dolce, soprattutto quando si vive in apnea, quando rigirando lo sguardo non c'è il vulcano buono, quando è inutile respirare se non ci sono quegli odori. “Mi mancano quei profumi. Io non chiedo niente a Verona né ho chiesto niente a Roma, città bellissime, le rispetto, ma sono cresciuta in mezzo tra Vesuvio e mare e mi manca tutto questo”.

La “vesuviana”, come si definisce Valeria, ha il viso tondo e i capelli lunghi, gli occhi grandi e aperti, parla poco e se non conosce sbircia... Diffidente, mette i punti, segna i confini della sua vita condivisibile, pigia sui freni che non sempre funzionano e allora quella diffidenza apparente perde vigore: perché Valeria è donna del sud, spontanea e sincera, con quella cadenza napoletana che è musica e non passa mai accelera e frena accelera e frena e si racconta. “Ma non dovevamo parlare di calcio?”

La Pirone è fatta di lava e di sale e anche di pallone. Quello da strada, che ti fa diventare cattiva, che ti fa correre più degli altri, specie se devi giocare con i maschi e sei solo un soldo di cacio. “Ho iniziato così – racconta Valeria – per strada, sui marciapiedi, dappertutto. Ai miei non ho mai chiesto permesso. Il calcio è la mia scelta. I genitori ti dicono che devi studiare, ma io non ho la testa per lo studio e dopo il primo anno alle superiori ho lasciato e sono andata a lavorare Forse un giorno mi pentirò e mi rimetterò a studiare”.

Undici anni al Napoli, poi la Res Roma e adesso il Verona, che vuol dire lo scudetto sulla maglia e la Champions League. Valeria non si scompone e non si sorprende nemmeno dei gol che segna in Europa. A dicembre compie 27 anni, è arrivata in Veneto per coprire il buco lasciato da Patrizia Panico, una bella responsabilità e anche una bella conferma e cioè che il calcio è un lavoro. “Volevo fare un'esperienza di alto livello, giocarmela con calciatrici europee. Mi piace... Ma quello che ha dato Panico non posso darlo. Troppo diverse, troppo lontane, lei ha vinto tanto, io non ho vinto niente. Darò il massimo però, questo sì. So di essere in una grande squadra, mi alleno e mi sento al sicuro. E ancora non riesco a pensare che sia un lavoro, so solo che il calcio è quello che amo fare. Certo non è più solo un gioco, ma è sempre la mia passione e se è diventato un lavoro allora sono proprio fortunata”.

Il calcio femminile è un lavoro a tempo determinato. Peggio di un insegnante precario. Dura una stagione e si rinnova se va bene. Nessun contributo, nessuna liquidazione. Del futuro nessuna certezza e se hai ancora ventisei anni al domani c'è da iniziare a pensarci. “Lo so bene, non si può vivere di solo calcio. Io adesso non sto lavorando, ma se mi capita di trovare qualcosa lo faccio. Mi dà fastidio sentir parlare di passi avanti del movimento femminile. Sono dieci anni che si dice questa cosa. Io non voglio i contentini, perché non sono una che si accontenta. Dicono, abbiamo fatto questo e abbiamo fatto quello e poi però si parla di calcio femminile solo perché Belloli ha definito le calciatrici “quattro lesbiche”. Sapete che vi dico? Non me ne fotte niente di loro, mi possono illudere ma io so che si raccontano le barzellette. Vengo da una realtà dove le barzellette si riconoscono. Il professionismo non arriverà mai. Il calcio maschile è troppo potente e quello femminile è pulito e vero. Però se facciamo il salto di qualità la gente si appassionerà al nostro sport, questa è l'unica vera medicina per crescere e in questo io voglio credere”.

Si infervora come quando prende a correre verso la porta, così spinge parole dure e prive di illusioni verso una conclusione: facciamo vedere che sappiamo fare un bel calcio. E il suo è un bel calcio, fatto di colpi di testa, come l'ultimo gol messo a segno contro il Malmo Rosengard della brasiliana Marta. Valeria Pirone non ha spocchia, ma ha piedi e testa e sa correre per arrivare prima di tutti, per difendersi attaccando, piccola sì ma senza paura. “Il destro è il mio piede, ma segno pure di testa, anche se sono bassa cerco di arrivare prima sulla palla. Giocare contro Marta è stato bello. E' come trovarsi davanti a Neymar, a Messi. All'inizio l'ho guardata, poi ho pensato solo alla partita. Ed ero solo contenta di giocare contro una squadra così forte. Non avevo paura, non la temevo. Mi stava capitando una bella cosa”.

Il suo idolo? Sarebbe inutile chiederlo, ma val la pena santificarlo sempre il dio del pallone che ha fatto grande Napoli, che fa parlare ancora di Napoli, che è Napoli e niente potrà sostituirlo. “Maradona finiva quando io nascevo, però lui si respira ancora e per sempre. Sì Cavani, Higuain... ma non saranno mai Maradona. Non ci sarà mai più una primadonna. Nella mia scala dei preferiti ci sono in questo ordine Maradona, Baggio e Ronaldo il brasiliano. Mi piace anche Rooney”.

Napoli è dentro di lei, come un respiro che ossigena il cuore. “Tifo Napoli, solo Napoli in tutti i sensi. Sta giocando bene, merita la posizione che ha. Scudetto? Si può dire, adesso si può dire tutto Mi piace molto andare allo stadio. Sempre in curva ma non sono mai stata una ultras, è una vita di sacrifici. Io li rispetto. Non mi piace il calcio moderno, preferivo quando si giocava tutti alle tre e solo la domenica, quando si potevano portare gli striscioni e accendere le torce e i fumogeni”.

Valeria è come una sfogliatella liscia, la frolla quella che preferisce. Perché la sfogliatella riccia si fa “scartare”, prendi un lembo e sgomitoli la pasta scoprendo la ricotta. La frolla invece devi morderla per trovare il contenuto. “Ma non dovevamo parlare di calcio?” Bella e vera lei, anche se prova a nascondersi dietro ai suoi gol. E allora basta distrarla, a ognuno il suo dribbling... “Mi piace cucinare e tenere la casa in ordine. Amo la parmigiana, la pasta con patate e provola, gli spaghetti con vongole e cozze e i cannelloni. E sì... la sfogliatella liscia”.

Valeria è l'ultima di sette figli: un solo maschio e sei femmine. In una famiglia numerosa quando arrivi per ultimo cresci da solo, impari a farti sentire come a fuggire senza che nessuno se ne accorga. Una squadra di calcetto praticamente, una partita giornaliera, una conquista a un posto, che sia a tavola, in bagno o anche solo nello sguardo della mamma. Perché una mamma dispensa amore uguale, ma le attenzioni si distribuiscono e gli sguardi non bisogna perdere l'occasione di afferrarli e farne carezze. La famiglia manca come il Vesuvio e quando può torna a casa, dove ha anche sette nipoti. “A Verona sto bene, ho trovato persone positive. Però mi manca Napoli, la gente, anche l'odore dei sassi... quelli che quando cammino prendo a calci”. Vuole tornare senza aspettare che De Laurentiis faccia il Napoli femminile come ha fatto Della Valle con la Fiorentina Women. “Io non aspetto nessuno, figurarsi se aspetto De Laurentiis, tornerò a prescindere”.

Non spende troppe parole per i fatti di Parigi, troppe se ne sono spese. E la sua diffidenza torna essere evidente. “C'è chi sa e potrebbe fare in modo che si evitino certe disgrazie. Le armi gliele diamo noi! E' come le sigarette, fanno male e te le fanno fumare. Paura? No, altrimenti non vivremmo più. Sono preoccupata per i bambini, non sopporto di vederli soffrire”

Ama andare al cinema e al teatro. Un libro può iniziare o finire alla terza pagina, se le piace va avanti altrimenti lo chiude lì. Ascolta musica ma non vuole dire quale - “è una cosa personale, una cosa troppo mia”. Adora la coppia Jolie-Pitt - “loro sono i più belli del mondo”.

Dice di essere all'antica e non ama i social. E anche se è “cattiva” in campo (“Un attaccante con già due ammonizioni in tre partite non va bene. Non mi controllo sono troppo istintiva, devo correggere questa cosa”) fuori sembra disponibile e accogliente. Gli amici non li seleziona ma detesta i falsi e i ruffiani, quindi “meglio un amico in meno che tanti amici ipocriti. Ho amiche di infanzia che non passano mai, amici tra i tifosi del Napoli femminile, amici di strada con cui giocavo a pallone”.

Valeria non si trucca. Solo un po' di mascara quando capita. I tacchi per le occasioni, altrimenti jeans e scarpe basse. Ma non è il tacco che fa la differenza. “Io mi vesto da femmina sempre, perché quello sono! Certo per le occasioni importanti mi preparo un po'. Ma nel quotidiano devo stare comoda”. E comoda sta nella sua libertà di essere se stessa - “non è facile starmi dietro” - Non è innamorata, ma all'amore ora proprio non pensa.

Del mondo che ha girato ha apprezzato New York: “Mi è piaciuta molto, forse perché è così... finta. Bello anche il Messico. E vorrei andare in Bosnia”.

Non ha un motto, ma qualche pratica scaramantica prima di entrare in campo sì e ovviamente non la dice. Però confessa pregi e difetti: “Il pregio è che sono napoletana. Il difetto che sono impulsiva”.

Ogni tatuaggio che ha significa qualcosa, legato all'amicizia o al calcio. “Purtroppo sono in bianco e nero”. Purtroppo? “E sì, il bianco e nero vuol dire Juventus!”.

Valeria, se non il bomber cosa vuol fare da grande? Ride e ci pensa un attimo e ride ancora quando ci ha pensato: “Spero di andare sulla luna per mettere la bandiera del Napoli”. E ride ancora.

(Foto Damiano Buffo)

 

 


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