Pipa Pipitone, il portiere che sa parare i pensieri

Rosalia, 29 anni, palermitana, della Res Roma in serie A. "Ho iniziato come attaccante e in porta ci sono finita per caso. Il mio è un ruolo faticoso, ho lavorato molto su me stessa e ho imparato a fermare i pensieri. La Sicilia mi manca. Ci tornerò e magari aprirò una scuola calcio nel mio piccolo paese, Torretta"
Pipa Pipitone, il portiere che sa parare i pensieri
Valeria Ancione
6 min

ROMA - Il suo nome è Rosalia, come la Santuzza che dorme quasi in cima a Monte Pellegrino, il promontorio di Palermo che si “crede” montagna, spigoloso e morbido allo stesso tempo, che unisce e separa. Registrata Rosalia Pipitone, la chiamano Pipa, è grande che sembra una montagna e fa il portiere di giorno in serie A, nella Res Roma.

Pipa, soprannome da cartone animato, occhi attenti e mani pronte, di chi passa dal sonno alla veglia in un attimo, dalla noia alla tensione in un niente, di chi viaggia in mezzo al sogno sognato e non vuole perdersi nulla. Ha iniziato a giocare per strada, perché nel suo piccolo paese a pochi chilometri da Palermo, Torretta, lato monte, lungo la strada, maledetta per sempre dalla voragine, di Capaci, le bambine a calcio non giocano, se lo inventano. 

Questa è la storia al contrario: di chi viveva in America ed è tornata in Sicilia, di chi giocava in attacco e si è ritrovata in porta, di chi ha conquistato la Capitale ma indietro prima o poi vuol tornare. 

«Attaccante per strada con i maschi, in porta ci sono finita quando finalmente ho iniziato a giocare a pallone con le ragazze. E ci sono finita nel modo più banale: il portiere titolare si è infortunata e hanno messo me per la stazza. Le doti le avevo e l’estate che salimmo dalla C alla B mi allenai da sola con un preparatore atletico per diventare un vero portiere».

Il fisico e il talento non bastano. Si dice... la testa e quell’emblematica solitudine dei numeri uno che è la fragilità e la forza insieme.

«E’ un lavoro duro e faticoso - dice Pipitone - però più cresci e più migliori. Serve tanta concentrazione. Una partita provoca uno stress mentale altissimo. Si alternano momenti di grande tensione ad altri di noia. Ho dovuto fare un grosso lavoro su me stessa. Purtroppo diventando grande, aumentano anche i pensieri e nel mio ruolo bisogna imparare e bloccarli quando si è in gara. Una lotta continua con se stessi».

La vita la mette di fronte a Fabio Melillo, il suo attuale mister alla Res Roma, la vuole nel suo progetto vincente che porterà le romane dalla B alla A. Ma Pipa non è pronta a lasciare tutto, soprattutto la madre.

«Non era proprio previsto che andassi via da casa. Non potevo lasciare mamma. Dopo la scuola mi sono iscritta in chimica. I miei sono entrambi infermieri e intanto mio padre mi aveva chiesto di provare a diventarlo. Figurati... lui stesso mi disse. Invece sono entrata, ho superato i test: io piangevo, lui era felice. Ma l’ospedale non fa per me. La sofferenza non fa per me, sono troppo empatica, sto male, resto subito coinvolta. Insomma, l’ultimo anno non l’ho fatto, è arrivata l’occasione dello svincolo e ho seguito il mio sogno: il calcio».

I colori del sogno sono giallorossi, quelli della Res Roma, perché Melillo non l’ha persa di vista, capendo la potenza di Pipa, che dopo le giovanili in azzurro non ha mollato del tutto l’ambizione della Nazionale maggiore. Sa aspettare Rosalia, non ha fretta anche se il tempo passa. «Penso di avere ancora quattro anni ad alto livello. Certo dipende dal fisico, con tutte le botte che prendono anche, spalle e ginocchia! A 17 anni mi avevano detto che avevo la cartilagine di una ottantenne e che col quel ginocchio non potevo giocare a pallone. Soffro ogni tanto un po’ a sinistra, ma sono qui... E alla Nazionale ci penso sempre».

Vive a Roma, gioca con la squadra che l’ha definitivamente lanciata e coccolata, ha un lavoretto in una tavola calda, perché si sa le donne di solo calcio non possono campare, e il desiderio di tornare in Sicilia. «La squadra è come una famiglia per me. Lo sport mi ha aiutato tanto, non ho avuto una vita facile, però non sono una che molla. La Sicilia mi manca, ma sono scappata da lì. E’ una condanna essere isolani. Capisco mia madre che non ha resistito e dal New Jersey è tornata indietro. Mia nonna vive ancora lì. E mia sorella da poco si è trasferita in America - sospira - In America è tutto diverso... L’americano lo capisco bene, ma per parlarlo devo essere ubriaca, mi vergogno».

Il suo dopo è aperto a tutto. Vorrebbe restare nell’ambiente, aprire una scuola calcio a Palermo o nella sua Torretta, però... «Però non sarebbe una tragedia uscire fuori dall’ambiente. Se ci penso, troppo calcio a volte mi innervosisce, mi stufa. A casa mia non si parla di calcio. D’estate chiudo tutto e divento normale. Prima senza calcio non mi pensavo, ora invece penso ad altro. Quando tolgo i guanti da portiere, sono una persona reale. Ho il cervello diviso in due per ora, tra sogno e realtà, diciamo».

Legge tanto, ma non i gialli. Ama il cinema americano. Sa cucinare, e infatti se non farà una scuola calcio, farà qualcosa nella ristorazione. Pipa chiacchiera con piacere, col tono di chi ti rivela la ricetta e ti incuriosisce. «Sono una brava donna di casa, anche se non so cucire. Il mio piatto preferito è la pasta gramigna con melanzane, pesce spada e menta. La pasta con le sarde la fa nonna, mamma no - dicono che cucinare la pasta con le sarde sia un’arte che si tramanda ndr - quando torno in Sicilia di solito ingrasso 15 chili».

Si chiama Rosalia Pipitone, ma per tutti è solo Pipa, ha imparato a tenere a bada i pensieri e anche se la sua sembra una vita al contrario i suoi sogni vanno dritti per la giusta strada. E prima poi la riporteranno in Sicilia.


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