Calciopoli, Tiziano Pieri: «Impossibile dimenticare»

L'ex fischietto internazionale: «Da uomo ringrazio lo scandalo, sono migliore. Da arbitro no, distrutta la passione della mia vita»
Calciopoli, Tiziano Pieri: «Impossibile dimenticare»
Edmondo Pinna
8 min

ROMA - «Papà, anche se non arbitri più, ti voglio bene comunque». Tommaso aveva cinque anni. Di vederlo senza più il sorriso di sempre non aveva più voglia. Lo ha salvato da Calciopoli nella maniera più semplice, come solo i bambini sanno fare. Perché Tiziano Pieri, quell’incubo, lo stava facendo diventare un mostro che ti mangia dentro. Era la promessa del futuro arbitrale, appena nominato internazionale (gennaio 2006), un cognome “pesante” da portare (suo padre Claudio era stato un grande direttore di gara degli Anni 70), soprattutto era giovanissimo. Ha vissuto l’inizio di Calciopoli forse nel modo più traumatico. C’era, a Coverciano, il 12 maggio 2006, ma quegli avvisi di garanzia che i Carabinieri portarono nella casa del calcio italiano non erano per lui. Lo trovò, invece, appena sceso dalla scaletta dell’aereo che da Siroki Brijeg, cittadina della Bosnia Erzegovina, dove aveva diretto il preliminare di Champions, lo aveva riportato a Pisa. «Signor Pieri? Siamo i Carabinieri, le dobbiamo recapitare....». Benvenuti all’inferno. L’inferno di Calciopoli che per certi versi Tiziano finisce anche per ringraziare. Come uomo. Come arbitro no, «sono ancora incazzato, per me non finirà mai».

I Carabinieri a Coverciano, i suoi colleghi con gli occhi lucidi, la distribuzione degli avvisi di garanzia. Pensò: è capitata agli altri e non a me?
«Quel giorno fummo scossi anche noi che non c’entravamo nulla. Fu bravo Lanese, i Carabinieri del “Rono” (Reparto Operativo Nucleo Operativo, soprannome del Nucleo operativo dell’Arma) volevano radunare tutti in aula magna, lui pretese la lista solo di quelli che erano destinatari di quelle lettere. Li consolai, quelli con i quali ero più in confidenza. A qualcuno dissi: “non preoccuparti, è una bischerata”. Invece...».

Invece quella bischerata le ha tolto la sua prima vita.
«Tornavamo dalla trasferta di quel preliminare, come quarto uomo avevo Rizzoli, nello spogliatoio mi disse: “Hai arbitrato da Dio”. Quello che successe all’aeroporto di Pisa, quella telefonata, la corsa a Capannori, dove abitavo.... (attimo di silenzio) Mamma mia.... Ho lasciato, mi hanno costretto a lasciare una carriera incompiuta».

Assolto per la giustizia sportiva, assolto per quella ordinaria. Ha pagato un pezzo molto alto...
«Nel 2006, in quello scandalo che sembrava la fine del calcio in Italia, non è stata dimostrata una sola partita comprata. Prendete invece il Calcioscommesse: ci sono giocatori che hanno ammesso di aver taroccato le partite, eppure ora giocano in serie A. Sia chiaro, non ce l’ho con loro, è giusto concedere a chi ha sbagliato una seconda possibilità. Ma a chi, invece, di sbagli non ne ha commessi?».

Lei è stato il primo arbitro, o fra i primi, il cui nome è uscito in una intercettazione. Lo chiedeva Moggi a Pairetto, «al Berlusconi, Pieri, mi raccomando». A distanza di tempo, che effetto fa anche solo rileggere certe dichiarazioni?
«Fino a qualche tempo fa mi arrabbiavo, adesso ho metabolizzato. Di sicuro non ho mai parlato con un dirigente, non c’è una telefonata che lo dimostri».

E’ mai esistita davvero Calciopoli?
«Se guardi le polemiche, le dichiarazioni dell’ultima settimana, il caso Higuain, quello che ha riguardato Bonucci, ditemi voi cosa è cambiato? Se uno fosse catapultato dal 2006 al 2016, direbbe non è cambiato nulla, gira la stessa ipocrisia».

Dica la verità, c’è una parte di Tiziano Pieri che forse potrebbe ringraziare quello scandalo....
«L’uomo, forse. Perché passando attraverso quella esperienza sono diventato migliore, più fiero di me di quanto non lo fossi allora. Quello è un ambiente super competitivo, dove finisci per tirare fuori il peggio di te. Avevo un carattere aggressivo, arrogante, forse anche per nascondere la faccia da ragazzino che ho sempre avuto, sin dalla Terza categoria, quando dovevo dire di avere 18 anni invece che 16, 17, su consiglio dei miei dirigenti. Sicuramente come uomo sono migliore».

Il Pieri arbitro, però, non la manda giù...
«L’Aia parla sempre di famiglia, ma quando c’è un problema scappano tutti. Lo schema è sempre lo stesso: quella che loro ritengono una pecora nera, viene isolata per fare in modo che le altre vengano considerate bianche... Non gli perdonerò mai, però, di aver fatto figli e figliastri. Fuori le pecore nere, ma quelle che loro ritenevano grigie sono rientrare nel gregge. L’allora presidente Gussoni ha violato i regolamenti, cosa assurda per un arbitro che dovrebbe farli rispettare, per darmi il terzo periodo di sospensione, dopo avermi detto la mattina “preparati per i test atletici, per me puoi rientrare”. Poi certo Collina se ne lavò le mani».

Ha mai avuto paura?
«Sì, quella di non farcela. Sono entrato a Poggioreale, carcere vero, vedere quelle celle dove erano stati giudicati i camorristi ed io che non avevo fatto nulla ero ugualmente lì. Avevo scelto il rito abbreviato: per guadagnare tempo per tornare ad arbitrare, per guadagnare soldi perché non li avevo per potermi permettere due avvocati troppo a lungo. Eppure la Cassazione ha giudicato rito abbreviato e rito ordinario nello stesso giorno. Solo in Italia un’assurdità così. E poi la paura di non essere creduto. Per fortuna ho avuto vicino mia moglie Silvia, sposata lo scorso anno a 25 anni dal nostro fidanzamento, e miei figli, Tommaso e Alessandra. Avevo lasciato il lavoro per dedicarmi all’arbitraggio, mi ritrovai senza nulla e con due figli piccoli da crescere. Ho fatto per un mese il cameriere la sera alla sagra del tartufo a San Miniato, dopo aver lavorato tutto il giorno come consulente. Mi svegliavo, e ancora mi capita, con attacchi di panico di notte. La famiglia è stata tutto».

C’è una cosa che non rifarebbe?
«No, non mi pento di nulla. Neanche degli errori tecnici, perché un arbitro impara da quelli. Forse, quando sono tornato ad arbitrare, dovevo essere io a farmi da parte, anche se i miei avvocati mi dicevano che sarebbe stata un’ammissione di colpevolezza. Ma non ero più io, non ne avevo più dentro. Forse non ho avuto la stessa forza che ha avuto un Rocchi, bravissimo per tutta quella stagione».

Riuscirà a chiudere Calciopoli nel cassetto?
«Mai, farò la fine del giapponese che esce dalla foresta. Ma Calciopoli non finirà mai perché mi ha tolto una parte di vita».


© RIPRODUZIONE RISERVATA