Chapeau, monsieur Simon

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Alessandro Barbano
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E adesso, dopo lo schiaffo a un Benfica che fino a ieri disconosceva la sconfitta, provate a parlare di inadeguatezza di Inzaghi. E adesso, dopo una partita costruita in maniera perfetta, prima a contenere e spegnere la creatività dei portoghesi, poi a colpire in contropiede, provate a criticare la pertinacia del tecnico piacentino per il suo tre-cinque-due costi quel che costi, come noi stessi abbiano fatto dopo l’ultimo capitombolo dell’Inter in campionato. Adesso tocca inchinarsi a questo capolavoro di tattica, di carattere, di resilienza agonistica. Perché il due a zero che proietta i neroazzurri verso la semifinale di Champions non è un colpo di fortuna, e non è neanche il colombo uscito dal cilindro di un top player, figura che, stante il perdurante letargo di Lautaro, si fa fatica a individuare nell’Inter. È piuttosto un risultato del gioco di squadra, l’esito di un’applicazione diligente di un modulo che, quando il centrocampo gira, funziona eccome. Perché Inzaghi costruisce e vince la sua sfida con Schimdt lungo la linea che passa tra Dumfries e De Marco, riannodandosi attorno alla regia duplice e complice di Brozovic e Mkhitaryan, e che si flette ora in avanti ora indietro sull’indomita generosità atletica e tecnica di Barella. Qui la fantasia dei portoghesi s’infrange, si spezza e poi cade in frantumi sul terreno, come un’architettura perfetta colpita nel suo unico punto di fragilità. Non solo l’Inter non sbaglia niente, ma s’impossessa del gioco e lo nasconde all’avversario, talvolta proteggendolo dal rischio di vederlo sfumare sui piedi di due attaccanti confusi e poco ispirati, come ieri Dzeko e Lautaro.

I meriti della mediana nerazzurra

È questo il grandissimo merito della mediana neroazzurra: aver tenuto palla quando c’era da disinnescare il pressing di Rafa Silva e compagni, ma anche quando c’era il rischio di restituirla troppo presto alla difesa portoghese. Per tutto il primo tempo l’Inter ha conteso al Benfica il controllo della gara, uscendone alla pari sul campo di un avversario sulla carta favorito. Nella ripresa ha sofferto dieci minuti il massimo di pressione dei portoghesi, chiudendosi in un arrocco che pure poteva tramutarsi in un tragico assedio. Ma da questa postura difensiva ha trovato la forza di allungarsi e colpire. Barella è il simbolo di questa elasticità fisica e mentale. Non solo per la sua duttilità agonistica e tattica, ma per una capacità di compenetrarsi nell’obiettivo con un’osservanza che rasenta l’esaltazione. Sulla rasoiata a rientrare di Bastoni, simile a quelle sprecate nel primo tempo da Dzeko e Lautaro, il centrocampista cagliaritano è leggermente in anticipo, ma la torsione con cui colpisce la palla e la spedisce nell’angolo opposto di Vlachodimos è uno scatto della volontà sul confine del possibile. Il “volli, fortissimamente volli” della mezzala è il serbatoio di energia e di fiducia che proietta l’Inter verso un salvataggio della stagione in zona Cesarini, offrendo a Inzaghi la chance di un riscatto personale.

Una settimana per preparare il ritorno

Non è finita, perché il Benfica non è la squadra tramortita dopo il vantaggio di Barella, né quella agonizzante dopo il raddoppio di Lukaku. La sua immagine più fedele è quella degli scambi ubriacanti che, all’inizio della ripresa, portano Grimaldo e Chiquinho, imbeccati da João Mario, a sfiorare il gol. C’è da giurare che a Milano i portoghesi cercheranno di tramutare quegli sprazzi di genio in un assedio disperato e soffocante. Di certo, nei prossimi sette giorni, l’Inter non ha nient’altro che la sfida di ritorno da mettere in cima a ogni suo sforzo. Un colpo di reni l’ha rimessa nella storia del calcio che conta quando rischiava di doverne uscire ingloriosamente, adesso il miraggio della finale mostra una concretezza che basta da sola a dare forza e fiducia. Non è poco, anzi è quasi tutto.


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