Lazio-Roma, il tutto e il nulla

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Lazio-Roma, il tutto e il nulla© LAPRESSE
Alessandro Barbano
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C’è una sola entità, almeno così appare in novanta minuti di calcio spigoloso, tattico per un tempo, poi gladiatorio come è regola del derby. Quell’entità è la Lazio. Domina con perfetta applicazione, vince con merito, infiamma la sua metà di Olimpico e regala a Sarri, per i suoi enigmatici appunti di panchina, un block notes grande chissà quante altre partite. Ma l’altra faccia del tutto è il nulla della Roma, il lato oscuro dove si consuma la caduta di Mourinho dalla torre. Con una squadra senza qualità perfino i suoi sortilegi sono vani. La bellezza di Dybala brilla per un tempo come un bicchiere di Lalique, di quelli che a metà di una cena agitata vanno puntualmente in frantumi e ti penti di aver messo sul tavolo, tanto costano. Pellegrini sta in questo momento a Totti come la Roma alla Romulea. Quanto agli esterni, che si chiamino Zalewski o Kristensen, Bove o Spinazzola, lo Special li prova tutti per convincersi alla fine che non ce n’è uno in grado di centrare un solo affondo.

Il regista, Paredes, gira un film di guerra come fosse una commedia. Senza ispirazione, senza ritmo, senza carattere. E in mezzo a questo disastro tecnico-tattico svettano le solitudini di Mancini, Cristante e Lukaku, gli unici giallorossi degni di una partita così importante. Il centrale difensivo salva due volte la porta di Rui Patricio nel primo tempo, con l’intuito e il tempismo del guastatore, il mediano si spende per tamponare le falle che si aprono attorno a lui, e il gigante belga si agita là davanti, suggerendo un corridoio che non arriva mai o cercando una sponda che nessuno è in grado di dargli.

La disfatta giallorossa è un punto di rottura di un equilibrio fragilissimo, tenuto in piedi fin qui dalla perseveranza del tecnico portoghese. Ma la sua carica e la sua furbizia tattica non fanno da sole una squadra vincente. Soprattutto quando di fronte hai una Lazio perfetta fino alla tre quarti, con la difesa a quattro che si tiene in linea come se Sarri dalla panchina la guidasse al guinzaglio, e con un centrocampo mobile e ben coordinato in cui sempre più cresce la personalità di Guendouzi. Se poi negli ultimi trenta metri la squadra di Sarri continua a sciupare il tanto che costruisce, bisogna farsene una ragione. Ha segnato in campionato solo venti reti. Però la mole di occasioni create vale il rigore che Zaccagni trasforma, festeggiando con il pallone sotto la maglia la seconda gravidanza della sua compagna.

Dopo quattro vittorie di fila la Lazio sente la fiducia nei piedi quanto la Roma avverte la paura. Non a caso dopo il vantaggio spezza sul nascere ogni tentativo dei giallorossi di reagire, raddoppia le marcature con successo, riparte in contropiede e fa interamente suo il rettangolo di gioco, concedendo al confuso forcing degli avversari solo due occasioni per pareggiare. Non accadrà, perché la formula alchemica del mago portoghese stavolta non funziona.

Il punto di ebollizione, capace negli ultimi minuti di far saltare il coperchio del derby e ribaltarlo, non si raggiungerà. La magia scopre la sua finitezza umana, al cospetto di un limite qualitativo così grande da potersi dire metafisico. Con questa evidenza, che il derby consegna tutta intera, la rimonta in campionato e la finale di Europa League paiono realisticamente due montagne troppo alte per scommettere di sormontarle. È più facile prevedere che, nel braccio di ferro mediatico con il club, il guru portoghese non avrà i risultati dalla sua. Se l’amore dei tifosi vincolerà i Friedkin alla riconferma, vorrà dire che le responsabilità di una stagione che ad oggi risulta un fallimento sono addebitate unicamente a loro. Non sarebbe un giudizio ingeneroso. Ma poiché da Mourinho è lecito attendersi l’impossibile, sospendiamolo in attesa degli eventi.


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