MONTPELLIER - Il giorno dopo, c’è sempre sapore di polvere. Marcello Lippi ha scelto per tutti, togliendo se stesso e suo figlio dall’imbarazzo, lasciando però sul tavolo federale una serie di questioni aperte. La prima, ovviamente, è individuare una figura alternativa altrettanto adeguata (auguri); ma c’è anche il problema che ha portato clamorosamente a stoppare la sua candidatura, e su cui dovrà esprimersi la Corte d’Appello Federale, entro la fine del mese. Perché non è che la storia della incompatibilità procuratori-tesserati, emersa con tempismo sospetto alla vigilia dell’ufficializzazione del terzo ritorno in azzurro di Lippi, adesso si mette a posto da sola.
Senza sforzo, si possono mettere insieme almeno una decina di situazioni in questo momento più o meno fuori regola. Una per esempio riguarda anche uno degli azzurri qui in Francia, o meglio suo fratello: Stephan El Shaarawy ha Manuel che è iscritto nell’albo dei procuratori sportivi.
PASTICCIACCIO BRUTTO - Diciamo che il regolamento partorito dalla Figc l’1 aprile 2015, integrato da un commentario (!) un mese più tardi, non è stato senza dubbio il più felice dei documenti legislativi (eufemismo). Tutto nasce dalla deregulation in materia voluta dalla Fifa. La Federcalcio ha poi costruito il proprio impianto regolamentare, sollecitata dall’antitrust, su quello mutuato proprio dal testo inglese della Federcalcio Internazionale, allora di Blatter. Tutto paradossale, se si pensa che, nel 2008, con ben altra legislazione italiana, partorita dopo Calciopoli, dunque giustamente più occhiuta su certi conflitti d’interesse, Marcello Lippi tornò ad essere ct per due anni, mentre suo figlio Davide continuò a fare il procuratore, senza intralci.