Germania, un successo meritato che parte da lontano

Anche qui, in questo rettangolo verde dove si prende a calci un pallone, il ricco vince e il povero perde. Ma la Germania è campione del mondo per la quarta volta (agguantando l’Italia) non solo perché è ricca, quanto perché con i soldi sa cosa farci
Stefano Barigelli
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Anche qui, in questo rettangolo verde dove si prende a calci un pallone, il ricco vince e il povero perde. Ma la Germania è campione del mondo per la quarta volta (agguantando l’Italia) non solo perché è ricca, quanto perché con i soldi sa cosa farci. Sui dieci anni della rinascita tedesca dopo il fallimento agli Europei del 2004 è stato detto tutto: la creazione dei 366 centri di formazione per i giovani calciatori, i 29 centri di coordinamento, i 2,5 milioni di euro che la federazione spende ogni mese per la loro manutenzione. Il risultato degli investimenti e della programmazione è stato sintetizzato nel secondo supplementare dalla stilettata di Götze.

Ha vinto la squadra più forte, più solida, più equilibrata, quella che ha umiliato il Brasile in una roboante semifinale e che alla fine, faticando, ha battuto un’Argentina tosta, determinata e con il miglior giocatore del mondo. L’unica squadra capace di profanare uno dei grandi tabù pallonari: mai prima di ieri un’europea aveva conquistato un Mondiale in terra sudamericana. C’è riuscita la meno tedesca delle Germanie mondiali, multietnica al punto d’avere come re dei cannonieri, anzi il re di tutti cannonieri mondiali, un polacco naturalizzato: Miro Klose.

L’Argentina della Pulce non è l’Argentina di Maradona, alla fine ha incarnato lo spirito di questa Albiceleste più Mascherano di Messi, arrivato spremuto da stagioni stressanti, in grado di distillare solo poche gocce della propria classe: sono bastate per arrivare all’ultimo atto, non sono state sufficienti per vincere il titolo e regalarlo a un Paese che lo aspettava come segno ultraterreno di riscatto.

E’ stata una finale emozionante, aperta, perfetta conclusione di un mondiale equilibrato e divertente, ricco di sorprese, una delle quali è stata l’Italia. Al Maracanà si sono confrontati due mondi, due scuole calcistiche. Noi non siamo più ricchi come una volta, non abbiamo fenomeni all’orizzonte e anche lo Stellone sembra averci abbandonato. Dobbiamo costruire un nostro modo di crescere e di essere competitivi: lavoro, innovazione, inventiva. Ci riusciremo? A guardare chi dirige il nostro calcio vengono i brividi.  

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