Flaminio, il degrado cancella la casa dello sport

Sporcizia, abbandono, tutto sbarrato. L’impianto che ha raccontato calcio, rugby e tanto altro è vuoto. Le chiavi restituite al Comune
Guardate il Flaminio com'è ridotto FOTO
Fabio Massimo Splendore
3 min

ROMA - Scarpini sbrindellati, scarpe vecchie, brande arrugginite, medicine scadute, siringhe - ahinoi, siringhe - lattine, bottiglie di alcolici spaccate, semivuote, pezzi di marciapiedi malmessi, tombini rumoreggianti di rigagnoli d’acqua e ampie pozze tra i marciapiedi e il manto stradale che tradiscono infiltrazioni da cui non resterà immune tutto ciò che c’è (ma cosa è rimasto di quel c’è?) sotto. E poi erbacce alte quasi un metro, uno scenario che un po’ sa di marana, un po’ di foresta rada e poi più folta. Circumnavigare lo stadio Flaminio significa passare attraverso tutto questo: e buttare l’occhio a quel che si vede dalle cancellate lucchettate fa emergere un paesaggio da discarica. E’ una macchia opaca dentro uno dei quartieri d’elite, il Flaminio-Parioli, pieno centro. E arrivare, continuando a girare, fino alle bancarelle del mercato, ti fa tirare un respiro di sollievo. C’è vita oltre quel tempio spettrale dello sport, c’è Tommaso che vende i melograni a un euro. Ma non c’è più sport.

SGOMENTO CITTADINO. I cittadini, quelli che vivono il quartiere, questo spettacolo lo respirano, lo subiscono, lo sentono sulla loro pelle. Passano, guardano il cielo verso la sommità di questa che negli Anni ©Riproduzioneriservata Sessanta fu una costruzione gioiello: e scuotono la testa per quella «cartolina del degrado» come la definisce una signora in procinto di andare a fare un po’ di spesa. «Qualcuno dovremo ringraziare anche di questo no?», la domanda ironica. Ci vedono, taccuino e macchina fotografica, una donna anziana ci ferma: «Il custode mi ha detto di non parcheggiare davanti al cancello perché devono passare. Ma chi?». Già, chi. Qualcuno dovrà passare. E verrebbe da dire meno male. Magari da quel qualcuno qualcosa ricomincerà. Un lucchetto e una catena a ogni cancello: e pensare che il lucchetto era diventato un must nella simbologia dell’amore giovanile tre metri sopra al cielo. Qui evoca la fine di un amore, perché nello sport ci sono amore e passione: della gente che lo pratica, delle gente che lo segue.

DENTRO. Era un polmone sportivo per Roma, il Flaminio. Oltre il calcio, oltre il rugby, oltre quel che avveniva sul campo. Un campo che a vederlo fa paura: erba alta che ci si perderebbe un bambino, una sedia buttata lì, un figro dismesso, seggiolini scoloriti e bucati. Ma c’era anche un mondo sotto il Flaminio, una piscina dove negli Anni Settanta - per dirne una - nuotavano i ragazzi del vivaio delle Fiamme Oro, palestre e ambienti per la scherma, la ginnastica, un vero e proprio ring per la boxe. Sono state le ultime federazioni a uscire queste, nel primo semestre 2014. In quei locali l’acqua si è infiltrata e ha fatto danni, si è presa gli spazi che gli ha lasciato lo sport. Da otto mesi le chiavi del Flaminio sono tornate al Comune, proprietario dell’impianto. O di quello che - ormai si può dire - era un impianto. Oggi fa rabbia a vederlo. Fuori anche i camion cinematografici: si gira una fiction. Questo, purtroppo però, non è un film.


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