Il medico dell'Inter: «I crociati rotti? Aumentare le sostituzioni»
PEDAGGIO PESANTE - Per fortuna, la traumatologia e l’ortopedia sportiva del nostro Paese vantano autentiche eccellenze in grado di assicurare recuperi completi, sia pure pagando un pedaggio pesante al tempo necessario perché risultino tali. Tanto che, una volta, se il menisco era considerato una jattura, la rottura del crociato equivaleva alla fine anticipata della carriera agonistica o, nel migliore dei casi, al rientro salutato dalla frase: «Quel giocatore non sarà mai più lo stesso di prima». Poi c’è il discorso delle tournée intercontinentali precampionato: costringono tecnici e preparatori a sospendere gli allenamenti iniziati da pochi giorni, a saltare su un aereo per andare in America o in Asia, a giocare ogni tre giorni contro avversarie di alto rango, saltabeccando da un fuso all’altro e facendo il pieno del nemico più infido di ogni atleta: lo stress.
SCELTA DEMENZIALE - Un rinomato addetto ai lavori, che al Corriere dello Sport-Stadio chiede l’assoluto anonimato essendo parte in causa, non usa mezzi termini: «Interrompere la preparazione estiva per andare a raccattare ingaggi peraltro modesti, se rapportati allo sforzo sostenuto, è una scelta demenziale. Non dico esista un rapporto di causa ed effetto con la rottura del crociato anteriore, ma non sbaglio se affermo che il calciatore del terzo millennio debba essere trattato con la massima cura e con il massimo rispetto. Invece, in troppi casi lo si spreme come un limone, imponendogli tour de force massacranti e sperando non si faccia mai male. Ma il corpo umano è una macchina perfetta e quando si ribella, son dolori».