La Juve con un'anima Real

Il primo trofeo con la Juve© EPA
Ivan Zazzaroni
3 min

Galattici de noantri con una voglia smisurata, invidiabile e invidiata di dominare, e con una nuova anima, un’anima Real. Non sempre belli - neppure gli originali spagnoli lo sono sempre stati - ma insuperabili: da ieri, e grazie alla lunga, fortunata serie di Andrea Agnelli, che per alcuni studia proprio da Florentino, i Galattici de noantri detengono infatti il primato di vittorie in campionato, coppa Italia e Supercoppa italiana. Galattici relativi, nazionali, ma pur sempre galattici. Perché che si giochi dalle nostre parti, oppure in Arabia, poco cambia: quando un’altra italiana affronta la Juve, la Juve vince e l’altra italiana perde.

Dài e dài, ci stiamo assuefacendo a questa realtà. Siamo mentalmente scivolati nel purgatorio dell’ineluttabile. L’unica variabile resta il momento in cui si verifica l’episodio che chiude la partita. A Gedda il Milan è durato poco più di venti minuti, giocati assai bene: dopo la prima turbolenza si è però fatto prendere dalla paura e pian piano sopraffare dai campioni che qualcosa hanno concesso (penso alla traversa centrata nella ripresa da Cutrone) ma al momento opportuno hanno risolto la pratica. La Juve ha le qualità, la completezza, la testa e insomma la consapevolezza della propria superiorità che non solo a questo Milan manca: la squadra di Gattuso non è ancora in grado, ad esempio, di gestire i momenti di difficoltà, passa dall’esuberanza di alcune fasi di buon calcio al vuoto di arretramenti rischiosissimi che finisce per pagare.

All’elenco dei titoli della Juve e di Allegri si aggiunge un’altra Supercoppa italiana, l’ottava: più che naturale attribuirne il merito a chi l’ha “fisicamente” firmata, l’ex galactico Ronaldo; Ronaldo che, in assenza di Mandzukic, è stato ripetutamente cercato dai compagni ma che in rarissime occasioni ha avuto la palla buona per colpire. Quando l’ha ricevuta, ha colpito.

Ronaldo e Higuaìn sono il grande vincitore e il grande sconfitto non solo di Gedda ma di una stagione viva ma non vitalissima: in fuga da se stesso e da una squadra che pochi giorni fa ha deciso di fare a meno di lui, il Pipita è riuscito addirittura nell’impresa di farsi fischiare dagli arabi, è successo al suo ingresso in campo: le ore che hanno preceduto la finale (le due linee di febbre divenute immediatamente materiale per i social) avevano peraltro dimostrato l’incapacità della società di affrontare una situazione certamente scomoda ma che andava tenuta sotto più stretto controllo. Crescerà, deve e può farlo, il Milan, senza il Pipita, l’attaccante che a luglio aveva riacceso le speranze di grandezza un intero popolo e che in poco più di sei mesi ha subìto due “esoneri” ancorché milionari e altrettante delusioni.


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