Napoli, un cantiere dopo lo tsunami

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Napoli, un cantiere dopo lo tsunami© Getty Images
Alessandro Barbano
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C ’è un fattore Ranieri su Cagliari-Napoli, che condiziona ogni giudizio sul pareggio e sulla stessa salute della squadra di Calzona. Riguarda il magistero tattico, l’autorevolezza, la perseveranza caratteriale con cui un tecnico settantaduenne, che pure ha già avuto le sue soddisfazioni in Italia e all’estero, persuade un squadra raccogliticcia, modesta tecnicamente, con una cifra tecnico-agonistica più vicina alla serie B che alla A, a giocare all’arma bianca, con commovente applicazione e indomita fiducia nei propri mezzi. Al netto di questo prodigio dell’esperienza, che fa del Cagliari sul suo campo il più ostico degli avversari per chiunque, il Napoli non ha ancora la testa del Napoli. La diagnosi del suo nuovo terapista, chiamato al capezzale dei campioni malati dopo i due flop di Garcia e Mazzarri, trova nel pareggio del Sant’Elia una conferma. È proprio, come dice Calzona, una questione di testa. Lo testimoniano le prestazioni sottotono di giocatori chiave, ancorché agonisticamente in salute, come Kvara, Lobotka, Anguissa, Zielinski, e lo stesso Osimhen. Che segna un gol prezioso, e ne sfiora poi un altro in fuorigioco, ma non è ancora il riferimento costante dell’intera squadra, capace di portare avanti il baricentro anticipando il marcatore avversario sui rilanci della difesa, di dettare gli incroci e gli affondi, di triangolare con il suo gemello georgiano. Intendiamoci, a sputare sui suoi otto gol e sulle sue generose prestazioni si sarebbe ingenerosi, anche perché senza il nigeriano il Napoli non avrebbe risolto neanche quelle poche partite che pure gli garantiscono una posizione di mezza classifica. Ma vogliamo qui segnalare un calo di concentrazione che riguarda ancora tutta la squadra e su cui Calzona dovrà mettere mano.

Perché una disattenzione ci può stare, ancorché quella che all’ultimo minuto induce Juan Jesus a perdere del tutto la marcatura di Luvumbo è davvero un gesto da principiante. Ma il Napoli per tutta la gara concede al Cagliari più di ciò che sarebbe lecito, e spreca allo stesso modo alcune ghiotte occasioni per mettere al sicuro il risultato. Questo è inaccettabile sul piano mentale. Poi c’è una questione tattica da chiarire. Raspadori risulterà decisivo nel propiziare l’azione del vantaggio e nell’offrire l’assist a Osimhen, ma il suo impiego trasforma il 4-3-3 in un’altra cosa, e riduce la capacità di penetrazione sulle fasce. Con una squadra arroccata nel suo catenaccio a uomo come il Cagliari, questo diventa un problema. Nel primo tempo a destra il duo Mazzocchi-Raspadori non passa praticamente mai e subisce anzi le folate cagliaritane. E a sinistra la crisi di identità del gioiello georgiano fa il resto. Bisogna che Calzona persuada il presidente De Laurentiis che, finché Osimhen bazzica dalle parti del Vesuvio, e finché il Napoli vuol restare fedele al suo modulo, per Raspadori non c’è un posto da titolare.

E bisogna poi che Calzona aiuti Kvara a comprendere che il suo compito non è quello di puntare l’avversario, ma quello di puntare la porta, cioè di scegliere l’opzione più giusta per la squadra tra quelle a disposizione. Sarebbe un peccato se un talento di primo livello come lui fosse abbandonato a un destino di incompiutezza. Tutto questo per dire che il Napoli visto a Cagliari è un cantiere su cui è appena passato uno tsunami. Ci sono da raccogliere i cocci caduti e rimetterli ciascuno al suo posto, tornando a cercare l’architettura ideale. Altrimenti il rischio è di arrivare alla fine del campionato senza aver mai battuto una squadra di livello, e avendo invece subito lo sgambetto di non poche provinciali. Come quella che ieri ha dimostrato che vuol dire giocare per un obiettivo. Con coraggio e realismo.


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