Nel calcio che frana io scelgo Zeman

E' arrivato oggi in città. Sa che le attese sono grandi e non vuole sbagliare nulla
Vincenzo Sardu
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L'ho conosciuto vent'anni fa. E' cambiato, ma poco. Di sicuro non nei dettagli che più gli interessano, la coerenza di vita, di lavoro. Zdenek Zeman, chissà se ricorda quei pomeriggi a Campo Tures, dove svolgeva il precampionato il Foggia dei miracoli, quello che stava per riportare all'apogeo rossonero pugliese, bissando il nono posto in serie A di due stagioni prima. Mi avevano detto, i colleghi: guarda che è uno ombroso, non ti dice niente nemmeno se gli punti un mitra. Guarda con sospetto i giornalisti, è un diffidente, chiuso. Come premessa di una settimana da trascorrere al seguito, non era incoraggiante. E invece...

«Il calcio è un gioco semplice, bisogna fare le cose giuste. Ed è talmente facile che se un calciatore fa esattamente quello che deve, se non sbaglia a, ogni azione offensiva deve concludersi necessariamente con un gol. Perché non capita, allora? Beh intervengono altri fattori, come la fallibilità dell'uomo». Ti guardava, con i suoi occhi fissi, azzurro boemo, e veniva spontaneo pensare: mi sta prendendo in giro. Invece no. E' una base del suo modo di vedere il calcio. Che è studio, preparazione, metodo e applicazione. «Non tutti sanno fare tutto», altra perla boema che forse sottintendeva un passaporto di spiegazione del perché il suo calcio, amato da tutti quasi a prescindere dai risultati, questi ultimi in effetti non sempre li ha realizzati.

A dire il vero, in serie A gli è riuscito difficile realizzarli se non al culmine di un lavoro certosino impostato su basi create lontano dai riflettori, in B essenzialmente. Foggia la sua fucina preferita, ma anche a Pescara male non è andato, tutt'altro. Diversa la fortuna dove il palcoscenico era già quello massimo possibile in Italia. Esattamente quello che gli ricapita ora, ma anche per la legge dei grandi numeri (lo farà inorridire, un simile ricorso) perché non dovrebbe andare tutto bene a Cagliari?

La scelta di Tommaso Giulini, neoproprietario del Cagliari, è di quelle che definire coraggiose è poco. Sovrapposta all'esordio del suo predecessore, è agli antipodi: Massimo Cellino, 22 anni fa, preferì puntare sul sicuro confermando Carletto Mazzone, fresco di salvezza agli ordini della famiglia Orrù, e la decisione venne baciata da un campionato sopra le righe che riportò il Cagliari in Uefa dopo quasi vent'anni dall'ultima apparizione europea. Giulini non cerca punti di appoggio, sposa un'idea, la teoria, il gioco, il fascino, punta su un allenatore controverso soltanto per chi non lo conosce a fondo, per chi ha vissuto con fastidio il dito accusatore che il boemo ha puntato sugli scandali, sulle cose che non vanno, sul doping, sulle partite che finiscono, per usare un eufemismo, non come il campo avrebbe detto e non per quel senso di imponderabile che ha il pallone.

Zeman torna ad allenare e lo fa nella città che ha reciso il debole cordone che in quel momento aveva con la Roma, all'ultima parentesi di attività in ordine di tempo. Da quel dolorosissimo ko incassato all'Olimpico che gli costò la panchina giallorossa, riparte sull'altra barricata e conoscerà un'Isola che non potrà non amare. Un'Isola alla quale ha promesso per ora la sola cosa che potrebbe promettere uno come lui che di promesse non ne fa mai, ovvero il massimo impegno. I sardi lo sanno riconoscere questo valore. Eppoi, Zeman è una sorta di bene rifugio, quando le cose non funzionano nel pallone: perché un altro come lui non lo trovi da nessuna parte. Allora, stare con Zeman è meglio.


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