A Udine, ma anche prima, la Lazio ha cambiato pelle, mettendo la praticità davanti al ricamo. Era necessario, contro giocatori nerboruti e coriacei, giocare la palla di prima, non eccedere nei ghirigori, lanciare lungo per le tre punte. L’ordine è stato eseguito, dopo la rasoiata chirurgica di Pellegrini la squadra ha tenuto botta. Raramente ho visto tanta applicazione e tanta grinta nei contrasti e nei raddoppi, pur giocando in dieci per l’assenza dal campo di Kamada all’ennesimo flop. Guendouzi e soprattutto Rovella hanno triplicato le forze, spremendosi in un perpetuo su e giù per presidiare il centrocampo e nel contempo aiutare i compagni.
L’Udinese ha messo la testa fuori dal guscio soltanto a inizio ripresa e negli ultimi dieci minuti, il gol del pareggio non le ha dato quella spinta che il suo tecnico Cioffi e le tribune si auguravano, le sostituzioni non hanno cambiato le carte in tavola: la squadra friulana dovrà sudare parecchio per scrollarsi di dosso il rischio della retrocessione. Al contrario, gli innesti messi in campo da Sarri sono risultati ancora una volta indovinati. Come nelle due precedenti partite, sono usciti proprio dalla panchina i giocatori decisivi: assist di Felipe Anderson e tocco preciso di Vecino. Senza contare il primo gol di Pellegrini, anch’egli acquisto estivo (di ritorno dalla Juve, dopo i sei mesi laziali già vissuti da gennaio a giugno dello scorso anno), terzino sinistro mancino tardivamente approdato al ruolo di titolare.
In sostanza, la Lazio recupera punti e posizioni per avere il suo allenatore lasciato cadere la veste di talebano. Ciò gli fa onore, ne sono felici i tifosi e - mi dicono coloro che alle cose laziali sono molto addentro - gli stessi giocatori. Una replica della stagione juventina? Non credo, allora comandava Ronaldo, a Formello comanda ancora Sarri. Vincere a Udine era quasi obbligatorio per poter correre incontro al derby con un’alta percentuale di autostima e quindi di convinzione. Dopo il derby, a stretto giro, il Lecce all’Olimpico, poi il torneino di Supercoppa italiana. In Arabia: le follie del calcio non finiscono mai.