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NAPOLI - Lemina, Kalinic: poi un muro (di gomma) sul quale s’è andata ad infrangere qualsiasi illusione, quelle della Lazio ma anche quelle del Milan, oltre al Carpi, dunque quelle del calcio che conta i propri gol ad alta voce. Lemina, Kalinic: fermando, frenando, bloccando, Candreva e Felipe Anderson, Bacca e Luiz Adriano, ma anche Borriello e Paloschi, dunque l’arte varia di chi nei sedici metri sa come ci si fa rispettare. Il vento è cambiato, quasi non s’avvertono più gli spifferi: hanno chiuso la porta, ha cominciato (ovviamente) Reina, poi gli hanno dato una mano gli altri (i difensori, ma anche i centrocampisti e persino gli attaccanti) e non c’è stato più neanche un buco, per rischiare di passarsela male. Il Napoli che va ha una serie di anime ed in quella difensiva ci sono statistiche che pesano e alimentano l’autostima: perché se pure il Chievo non ha quasi mai tirato seriamente in porta (una parata non complicata di Reina, la rovesciata fuori di poco di Castro), allora vuol dire ch’è stata intraprese la scorciatoia per la felicità, qualunque essa sia.
LE DUE FACCE - Il primo Napoli (ante tridente) ha l’espressione cupa di chi non ci ha ancora capito niente: ne prende due a Sassuolo, ne prende altri due in un paio di minuti nel corso del secondo tempo con la Sampdoria e comincia ad invertire la tendenza ad Empoli, quando per non smentirsi chiude il primo tempo con due gol addosso, però almeno nella ripresa si rialza, pareggia, resiste, la smette. È una squadra da costruire «dentro», c’è Maggio a destra, Chiriches per due volte su tre fa il partner di Albiol ed Hysaj a sinistra s’industria. La tendenza fa arrossire, la media sa di imbarazzo, le rettifiche urgono e qualcosa bisogna inventarsi: statisticamente, solo il Napoli di Donadoni s’era spinto oltre, subendo sette reti nei primi duecentosettanta minuti.
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