Riscoprendo Ancelotti

Non è mai stato un mago Carletto, né mai si è sentito un santone ma ha sempre capito al volo la pasta degli uomini ricavando, dalla sintonia speciale instaurata con loro, una dedizione unica
Riscoprendo Ancelotti© Getty Images
Franco Ordine
3 min

ROMA - Il più bel complimento portò la firma di Paolo Maldini, il suo capitano durante gli otto anni magnifici vissuti a Milanello, il giorno della separazione consensuale tra il tecnico più amato dal popolo milanista, persino più di Sacchi e di Capello che pure han lasciato una scia di stelle. «Ringrazio Carlo per la qualità della vita che mi ha garantito», disse Maldini e molti cronisti rimasero a bocca aperta perché non parlò né dello scudetto, né della Champions alzata al cielo di Manchester e di Atene, nemmeno dei trionfi seminati in Giappone o della coppa Italia spettacolare contesa e strappata alla Roma di Capello. No. Parlò della qualità della vita che voleva dire molte cose ancora oltre ai trionfi collezionati e agli onori ricevuti lungo un tratto di strada che era diventato un record di longevità calcistica a dispetto di qualche sgambetto amico (la frase di Costacurta dopo il quinto anno, ndr) e della fine di una generazione di fuoriclasse. È vero, a Milanello s’era trasferito anni prima da calciatore, proveniente dalla Roma di Viola, preceduto dalla fama di un ginocchio mal ridotto, presto smentita da prove di altissimo profilo. Persino in famiglia i figli Davide e Katia furono indotti in errore perché a ogni rinnovo di contratto, papà Carlo tornava a casa con dei regali per loro due e la spiegazione era sempre la stessa: «Ve li manda lo zio Silvio». Per qualche tempo i due ragazzi continuarono a chiamare “zio Silvio” il presidente Berlusconi fino a quando capirono che non si trattava proprio di una parentela anagrafica semmai… economico-affettiva.

PROFEZIE A SEGNO - Perciò chi è pronto a vivisezionare il lavoro di Carletto, così battezzato al tempo del calciatore, diventato poi Carlo Magno quando l’esonero prematuro di Terim lo riportò sulla panchina milanista, non deve fermarsi al recinto calcistico. Deve seguirlo e pedinarlo anche altrove, a tavola quando discute con i suoi assistenti, la sera quando guarda la tv o racconta storie personali, per capire e comprendere il valore dell’uomo prima che del tecnico. «Per tre anni questi ragazzi hanno conosciuto e frequentato un solo calcio, perciò hanno tradito qualche difficoltà a cambiare registro, a sollevare lo sguardo oltre la siepe e a impadronirsi di altre conoscenze», la spiegazione privata offerta qualche ora dopo le prime deludenti esibizioni del Napoli post sarriano scandite da risultati inquietanti e dai quesiti sul suo spessore professionale. 

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