Napoli, quel gesto di Osimhen è un segnale di speranza

Napoli, quel gesto di Osimhen è un segnale di speranza
Massimiliano Gallo
3 min

Il vero segnale di speranza del Napoli è in quel gesto di Osimhen a fine partita allo Juventus Stadium. In quelle due mani mostrate ai tifosi bianconeri: da un lato cinque dita e dall’altro uno solo. Victor richiama quel 5-1 che lo scorso anno fu come un caterpillar che rase al suolo la già barcollante roccaforte bianconera. È un segnale di speranza perché in quel gesto c’è l’orgoglio ferito del campione che ingoia amaro. Valle mille di quelle storie che inondano Instagram e i social, perenne campionario di questo calcio anestetizzato e intriso di buone maniere e ipocrisia.

Victor deve aver odiato con tutto sé stesso la sconfitta di venerdì e non ha trovato di meglio che esporre quelle dita. Come avrebbe fatto qualsiasi bambino. È il calcio che abbandona il patinato e torna reale, rabbioso, finalmente con un odore. Ha rosicato, che dubbio c’è? È bello per questo. Il passato non ritorna, per mille ragioni che non stiamo qui a ripetere. Ma quando sei sul terreno di gioco, dimentichi le promesse saudite. Il rancore per il presidente. Tutto dimentichi. Vuoi solo buttare giù quella porta. È un gesto al contrario.

Perché in genere è chi vince che non resiste alla tentazione di sbeffeggiare l’avversario. A Roma ne stamparono persino una t-shirt che divenne un piccolo oggetto di culto. Fu quando la Magica di Totti e Cassano ne rifilò quattro alla Juve di Lippi e il Pupone venne inquadrato mentre rivolgendosi alla panchina avversaria mostrò prima il quattro, poi il gesto del dito sul naso “stai zitto” e quindi vai a casa. Il destinatario era un certo Tudor allenatore mancato di Osimhen.

L’elenco è lungo. C’è una foto, sempre a Roma, che racconta cos’era il calcio di un tempo. Con i romanisti che al termine della semifi nale di Coppa dei Campioni vinta in rimonta con il Dundee United accerchiarono l’allenatore avversario e Nela gli mostrò rabbioso il dito medio. Oggi verrebbero squalificati. Per non dimenticare gli occhi sgranati di Bagni che mostrava il cinque in faccia agli spaventati olandesi del Groningen dopo la manita dell’Inter in Coppa Uefa.

Gridarono al doping per quello sguardo. È il calcio, vivaddio. Che ogni tanto riaffiora e manda in soffitta il campionario di frasi fatte che ci ammorbano da anni. “Il gruppo”, “ne abbiamo parlato con il mister”, “incontriamo una squadra temibile”. Osimhen ha squarciato il velo. Ci ha riportati ai campi fangosi. Se si perde quel clima, non è più calcio. Diventa PlayStation. Ed è un’altra cosa.


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