ROMA - L’ultimo gesto di rottura è stato l’uscita dalla Borsa. Pallotta ci aveva pensato tante volte, poi era stato convinto a rinviare la decisione. La famiglia Friedkin invece è entrata a piedi uniti sulla questione. Delisting sia allora, amen, con tanto di appello accorato di Guido Fienga agli azionisti: favorite il progetto, sarà un bene per la Roma.
Medio termine
Il bene della Roma, per i Friedkin, è un concetto concreto. E per quanto si è compreso dopo due mesi di padronanza, prevede una presa di distanza tangibile da tutto ciò che stagnava nella precedente gestione. Tra il Texas e il Massachusetts passano migliaia di chilometri e culture profondamente diverse. I Friedkin hanno ad esempio già visto quattro partite su quattro da quando hanno comprato la Roma. Viste allo stadio, nonostante il Covid. In casa o in trasferta, here we are. Saranno in tribuna anche domani sera a Berna, per l’esordio in Europa. Per arrivare a cinque partite, Pallotta ha dovuto aspettare quasi tre anni. L’idea di essere presenti nella quotidianità del lavoro appare rivoluzionaria per le abitudini di chi frequenta il club da tanti anni. «Questi signori - raccontano - non sono interessati ad apparire, non vogliono ingraziarsi i giornalisti, vogliono solo ottenere risultati».
Appeal
Risultati sportivi, certo. Andate a rivedere il pugno chiuso di Ryan Friedkin dopo il rigore di Veretout contro il Benevento. Risultati finanziari, ovvio, che non possono prescindere da un altro aumento di capitale nel 2021. Ma anche risultati emotivi. I Friedkin hanno ritenuto conveniente rispettare la sensibilità dei tifosi organizzati, acconsentendo al cambiamento dello stemma sulle maglie. In Curva Sud volevano quello tradizionale, che Pallotta aveva modificato con l’obiettivo (non sempre riuscito) di valorizzare il marchio Roma. I Friedkin hanno approvato l’esperimento, per adesso solo parziale, poi si vedrà. [...]
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