Hereditary – le radici del male, la recensione

Dopo il grande successo in tutto il mondo, arriva anche in Italia l'horror con protagonista Toni Colette.
Hereditary – le radici del male, la recensione
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Hereditary – le radici del male è il primo lungometraggio di Ari Aster, che già si era fatto notare nell’ambiente con due corti di grande successo.

Aster scrive di mano propria anche la sceneggiatura, in parte ispirandosi alla propria vita e ad una serie di difficoltà che lo portarono a pensare di essere vittima di una specie di maledizione.

Hereditary trae infatti spunto dall’incapacità dei membri di una famiglia di reagire alla serie di sciagure che capitano loro, dipingendoli – è proprio il caso di dirlo – come delle statuine manipolate dalle forze del male.

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Hereditary si rivela quasi immediatamente un progetto riuscito a metà. Colpa forse di una sceneggiatura labile e nebulosa, opera della sola mente del regista che evidentemente mette troppa carne al fuoco. Lo script è un melting pot di generi cinematografici molto diversi e spesso fatti convivere a forza.

Aster dice di essersi ispirato anzitutto a grandi classici drammatici come Gente Comune, Tempesta di Ghiaccio, e soprattutto ai film di Mike Leigh (Tutto o Niente), uno dei migliori a saper raccontare le tragedie interne all’ambito familiare.


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