L'uomo che uccise Don Chisciotte, la recensione

Il film che Terry Gilliam ha impiegato 25 anni per realizzare, arriva in sala, con Adam Driver e Jonathan Pryce.
L'uomo che uccise Don Chisciotte, la recensione
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Il cavaliere errante, idealista e nobile, lo scudiero fedele, buffo e veniale, Don Chisciotte e Sancho Panza, figure romantiche e antiche, cantate, raccontate, filmate e adesso di nuovo al cinema in L’uomo che uccise Don Chisciotte, l’ultimo film “maledetto” di Terry Gilliam, che il regista stava tentando di realizzare da 25 anni. Nel corso del tempo il progetto è cambiato, si è evoluto ed ha assunto la forma anomala che arriva in sala, dopo il passaggio, Fuori Concorso come film di chiusura, al Festival di Cannes 2018.

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Prendendo a prestito i personaggi del romanzo di Cervantes, Gilliam racconta di Toby, un regista dall’ego smisurato che, per girare uno spot ispirato a Don Chisciotte, si trova in Spagna, nei pressi del villaggio dove, dieci anni prima, ambietò il suo primo film da studente di cinema, un altro adattamento del Don Chisciotte di Cervantes. Ritrovare quei luoghi cambiati e segnati dal suo passaggio, mette Toby su un cammino inaspettato, soprattutto quando la sua strada si incrocia con quella di Javier, calzolaio del piccolo villaggio che, dopo aver interpretato il cavaliere nel film del regista, si è convinto, fino ad impazzire, di essere lui il vero Don Chisciotte.

Gilliam è riuscito a portare al cinema la sua personale versione di Don Chisciotte de la Mancha, ma a che prezzo? Il prezzo della storia, il prezzo di un film più ordinario che avrebbe ripagato, anche economicamente, gli anni e gli sforzi, il prezzo di fatiche e beghe legali risoltesi soltanto poche settimane dopo la presentazione a Cannes. L’uomo che uccise Don Chisciotte è il racconto di un sogno realizzato che alla fine ha divorato lo stesso sognatore.


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