The Fabelmans ovvero come si diventa Steven Spielberg

Natale 2022 e torna Steven Spielberg, raccontando in The Fabelmans i traumi della sua adolescenza, trasformandoli in una lettera d’amore ai genitori, colmo di parole di speranza
The Fabelmans ovvero come si diventa Steven Spielberg
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Mitzi e Burt Fabelmans vivono in una villetta a schiera di una cittadina del New Jesery, hanno due figlie femmine e un maschietto. Li incontriamo mentre stanno portando il più piccolo per la prima volta al cinema. Sam ha paura dei giganti che vivono nel grande schermo, mamma gli racconta i mondi immaginari che scoprirà, papà gli spiega la magia sul grand schermo, possibile grazie a una macchina che illumina le fotografie mentre scorrono velocissime davanti ai nostri occhi. Eccola la collisione stellare da cui scaturisce l’ultimo film di Steven Spielberg: poesia e tecnologia, sentimento e ragione lottano nell’immaginazione di un bambino. The Fabelmans il film più intimo e personale del regista, la storia di come si diventa Steven Spielberg, il più grande narratore per immagini del nostro tempo. 

Non meno importante, The Fabelmans è una atto d’amore al padre ma soprattutto alla madre di Spielberg, con cui il regista de Lo Squalo, Jurassic Park, Schindler’s List e The Post fa pace tarantinianamente con il suo passato. 

Gennaio 1952 e il piccolo Sam vede al cinema Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Ne uscirà ossessionato dalla scena del treno che travolge un’automobile. Riproduce la sequenza con i suoi giocattoli, gira piccoli film amatoriali, coinvolgendo le sorelle, poi amici e conoscenti. La madre la chiama arte, per il padre è un hobby. Sam/Steven si muove tra i due poli e in tale viaggio comprende che la famiglia perfetta è un’illusione proprio come il cinema. In una sequenza rievocante Blow Up di Antonioni e La Conversazione di Francis Ford Coppola, un buon amico di Spielberg, Sam/Steven manda avanti e indietro alla moviola il filmino del campeggio estivo e scopre l’imponderabile: sua madre è innamorata dell’amico di famiglia, Bennie. 

Chi conosce la biografia di Spielberg non faticherà a ritrovare tanti episodi noti delle sue vicende personali, trasfigurate alla luce del suo lavoro come cineasta. Al riguardo segnaliamo l’ottimo documentario intitolato semplicemente Spielberg firmato da Susan Lacy. Sorprende che l’epilogo è differente, come se Spielberg avesse voluto ricomporre gli eventi, curare le ferite, cambiare il passato per parlare al presente.

A uno sguardo superficiale The Fabelmans può sembrare il classico film di formazione su una famiglia che si separa e i figli che ne pagano le conseguenze. I toni drammatici sono smussati, non c’è un vero “cattivo” e i due genitori affrontano con maturità e modernità al nuova situazione. A tratti The Fabelmans è anche noioso. Qualcuno ha detto che il cinema è la vita senza le parti noiose. Spielberg invece vuole imitare la vita, la sua adolescenza, i suoi traumi, i suoi sogni, le sue passioni, restituendoceli senza la mediazione di alieni o favole fantascientifiche, senza sovrastrutture politiche e sociali. Nell’America ricordata da Spielberg non c’è conflittualità sociale, non ci sono comunisti, non c’è la bomba atomica, non c’è Kennedy, non c’è il Vietnam. Unico accenno alle tradizioni religiose dei Fabelmans. Spielberg vuole solo curare le sue ferite, nel farlo, si prende cura delle nostre, perché come fa dire a uno dei suoi personaggi “Amare qualcosa è bello ma devi anche prendertene cura”.


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