Tár, non è tutto oro quello che luccica: recensione senza spoiler

Il nuovo film di Field tra eccellenza e cadute. Brilla Cate Blanchett
Tár, non è tutto oro quello che luccica: recensione senza spoiler
Mattia Rotondi
3 min

Difficile inquadrare Tár, il nuovo film di Todd Field. Alla Hollywood che assegna i premi è decisamente piaciuto: ha ricevuto diverse candidature all’Oscar, tra cui miglior film, miglior regia, migliore attrice protagonista. E il perché si capisce: è un film autoriale, complesso, con una direzione ricercata, un argomento attuale e una attrice/mattatrice. Ma non è tutto oro quello che luccica: ci sono diversi elementi che non funzionano, a partire dalla sensazione di confusione per quanto riguarda il materiale diegetico, fino ad arrivare ad una serie di monopoli (della parola, della protagonista) che appiattiscono l’esperienza della visione.

Cosa funziona

Cate Blanchett è chiamata a reggere tutto il peso del film sulle sue spalle. E lo fa sicuramente con grande mestiere, aiutata da un ruolo perfettamente nelle sue corde, dal punto di vista carismatico, tonale, fisico. L’attrice si fonde in maniera quasi simbiotica con il personaggio riuscendo a trasmettere il suo algido potere, ma anche poi la discesa verso gli inferi di una disperazione nevrotica, causata dallo sgretolamento del piedistallo su cui era abituato a svettare sopra a tutti.

Funziona la regia. La mano di Field è di gran classe, con echi viscontiani ed elementi che si ispirano ad Antonioni. Ma nella forte componente dialogica e in alcune scene in particolare (quella della scuola di musica ad esempio) c’è anche tanto teatro.

Molto interessante anche una delle chiavi scelte per tratteggiare Lydia Tár e cioè il richiamo del suono. Per lanews  direttrice d’orchestra non esiste solo la musica: è letteralmente ossessionata dall’intero range del campo uditivo, ovviamente con particolare attenzione per elementi che possano comporre anche basilari “melodie”, ma anche per i rumori ricorrenti e assillanti della vita di tutti i giorni. La sua sensibilità le dona il talento per la musica ma la rende anche vulnerabile all’ossessione, come se fosse contemporaneamente causa ed effetto del suo stato mentale.

Cosa non funziona

Alla fine del film, anche se le oltre due ore e mezza non pesano più di tanto, la sensazione è di aver assistito a qualcosa di caotico, come una sorta di mosaico di scene le cui tessere non sempre però si adattano le une alle altre. Alcune sequenze in particolare, più che contribuire all’armonia generale creano “rumore”, sono scricchiolii che stonano (ad esempio la scena nel parco).

Non funziona neanche la parte finale, slegata sia rispetto al resto che al suo interno.

Poi, va bene l’importanza dei dialoghi, ma il film risulta davvero verboso: paradossalmente poco "musicale".

Nota finale, gli argomenti che tratta: il rapporto tra lavoro e sfera privata, tra potere e pulsioni, le dinamiche di genere, realtà “reale” vs realtà costruita sui dispositivi mediatici, le ossessioni. Tutto molto attuale. Ma grattando sopra la superficie probabilmente resta poco di approfondito realmente. Come una lente di ingrandimento scheggiata, fa intravedere ma mette davvero a fuoco solo porzioni di spazio.

Domandona finale: è da andare a vedere al cinema? Sì, se siete stanchi dei blockbuster e avete voglia di vedere i sempre più rari film d’autore.


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