Ferrari, non andrà tutto bene

Ferrari, non andrà tutto bene© EPA
Mauro Coppini
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La Ferrari non c’è più. C’è una monoposto, vincente, almeno all’origine, ma nient’altro. Peccato che quel nient’altro è quello che conta. Serbatoio prezioso di fantasia, capacità di sovvertire le regole e soprattutto, coraggio che ha fatto la storia della marca.

Il Gran Premio dell’Hungaroring ci rimanda l’immagine di una squadra i cui componenti sono infelici ma contenti. Molto bravi a leggere il futuro ma ancor di più a giustificare il passato. A “casa tutti bene” è la parola d’ordine grazie alla quale il team volta pagina e scuote le spalle. E così il patrimonio della F1-75 finisce per intaccare anche le capacità degli uomini, in officina ed in pista, che sono chiamati a certificarne il valore. A cominciare dai piloti. Con Charles Leclerc e Carlos Sainz vittime sacrificali di strategie suicide, puntualmente giustificate nel dopo gara. Ma certamente non convinte da Nicholas Todt, figlio di Jean, che del pilota monegasco è il manager, e la cui espressione all’interno del box non lascia dubbi.

Nonostante le dichiarazioni di Matteo Binotto, team principal di Maranello che tra una intervista e l’altra, scuote la testa, quasi a simulare quel porpoising che nel frattempo i concorrenti hanno addomesticato più di loro. Ma serve a poco. Perché a metà stagione la concorrenza, stimolata dalle lunghe pause riflessive della Ferrari, sembra aver trovato la nuova linfa vitale, preziosa per mettere fuori dalla portata quei campionati, piloti e costruttori, che sembravano destinati a vestirsi di rosso. Con una Red Bull che ha in Max Verstappen la bacchetta magica capace di trasformare una strega in principessa, ma anche anche una Mercedes ed una McLaren che cominciano a socchiudere gli occhi dopo il loro lungo sonno per guardarsi intorno. E magari sarà proprio la Ferrari quella che darà loro il buongiorno.


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