Il permesso, la recensione

Il secondo lavoro di Claudio Amendola come regista è un noir criminale, il racconto di quattro detenuti in permesso per 48 ore: ognuno di loro dovrà fare i conti con il proprio passato e cercare una via per riscattarsi o vendicarsi
Il permesso, la recensione© ANSA
Simone Zizzari
3 min

Sono trascorsi quasi quattro anni dall'esordio come regista di Claudio Amendola. Quattro anni da quel 'La mossa del pinguino', film ambizioso ma ancora un po' acerbo. Stavolta il passo in avanti è evidente. Con 'Il Permesso' (nei cinema da giovedì 30 marzo) Claudio Amendola torna a confrontarsi con un tema a lui artisticamente caro, quello della criminalità. Lo fa con un approccio diverso rispetto al Samurai di Suburra. Stavolta il racconto è quello di quattro detenuti che escono di prigione in permesso per due giorni. Solo 48 ore che però per alcuni di loro si trasformeranno in un'eternità.

Insieme a Giancarlo De Cataldo, che si è occupato anche dello script al fianco del regista e di Roberto Jannone, Amendola ha strutturato una storia che si biforca fin da subito seguendo quattro percorsi differenti che sono in un paio di casi confluiscono. Si raccontano le vite dei quattro personaggi in cerca di riscatto e di vendetta con esiti ben differenti. C'è Donato (un sorprendente Luca Argentero) che cerca quella che una volta era sua moglie, adesso vittima di un brutto giro di prostituzione, poi c'è Luigi (Claudio Amendola) che ritrova la sua famiglia e suo figlio implicato in affari loschi con boss provenienti dall'est. E poi ci sono di due personaggi forse meglio riusciti, Angelo (Giacomo Ferrara) che riabbraccia i suoi vecchi amici di periferia e Rossana (Valentina Bellè), una ragazza ricca, viziata e fuori dal mondo che non ha alcuna intenzione di tornare in carcere. In mezzo a tutte queste storie c'è Roma che domina la scena dall'alto della sua bellezza, rintacciabile anche nei vicoli più malfamati.

Sorprendente il lavoro di Amendola fatto su Luca Argentero, alle prese con un ruolo al quale non si era abituati a vederlo. Il suo Donato è un ex pugile sconfitto dalla vita, da carattere cupo e violento. Il suo obiettivo è la vendetta nei confronti di coloro che hanno condannato sua moglie ad una fine orrenda. Amendola, al contrario, è Luigi, anche lui stanco e provato da una vita di malaffari e carcere. Ora però il suo sogno è quello di trascorrere la vecchiaia accanto alla moglie, come un pensionato qualsiasi. Missione fallita per 'colpa' del figlio che durante la sua assenza si è messo nei guai per provare a seguire le orme del padre che considerava un esempio da seguire. Valentina Bellè e Giacomo Ferrara (già visto in Suburra nel ruolo di Spadino) sono forse i protagonisti meglio assortiti. Bravissima Valentina nel ruolo di una ragazza dell'alta borghesia finita in prigione dopo essere stata trovata in possesso di dieci chili di cocaina, splendido Giacomo ad interpretare un ruolo solo apparentemente più semplice, quello di un ragazzo giovane, arrestato dopo una rapina ad un benzinaio

Amendola con questo secondo lavoro dietro la cinepresa dimostra di aver fatto un notevole passo in avanti in termini di qualità e resa del prodotto. Unico neo la colonna sonora che non sempre risulta calzante e adatta a certe scene. 


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