Calcio e arte, le due passioni di Oscar Damiani; e poi chi era Cino Marchese, grande manager di sport

Più di trecento partite in serie A, un centinaio di opere d'arte nella sua collezione: Oscar Damiani - campione tra gli Anni Settanta e Ottanta - racconta la sua doppia vita. E poi, a due anni dalla scomparsa, ricordiamo la figura di Cino Marchese, grande manager sportivo e amico fraterno di Adriano Panatta
Calcio e arte, le due passioni di Oscar Damiani; e poi chi era Cino Marchese, grande manager di sport
Massimo Grilli
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Conoscevamo le tante e diverse vite di Giuseppe Damiani, per tutti Oscar, 70 anni compiuti nello scorso giugno, il sorriso e l’eleganza come tratti distintivi: ottima ala destra nel calcio degli anni Settanta e Ottanta, con oltre trecento partite in serie A, poi procuratore di calciatori di alto livello - come dimostrano i “suoi” quattro Palloni d’Oro, Papin, Weah, Zidane e Shevchenko - e, parallelamente al pallone, apprezzato collezionista di arte moderna. Non sapevamo però che questa seconda passione è nata molto presto, e che il primo “acquisto” è stato compiuto a vent’anni, appena arrivato nel Vicenza, folgorato da un quadro degli Anni Trenta di Mario Sironi, fosco ed inquietante (così lontano, almeno apparentemente, dalla sua personalità) e che gli costò un milione circa di lire (più del suo stipendio mensile, l’autore precisa). Non male per un giovane calciatore… In questo libro, divertente e molto colorato, sono ripercorse - con l’aiuto di Alberto Cerruti e Angela Faravelli, curatrice e giornalista attiva nell’arte contemporanea - le due passioni che hanno segnato la vita del popolare Flipper (così lo chiamò Invernizzi all’Inter, a causa della sua frequentazione di quel biliardino elettronico tanto in voga mezzo secolo fa, ma anche per quel suo modo di muoversi in campo, tutto scatti e agilità). In sette capitoli, sette come il numero che ha sempre indossato sulla sua maglia, Damiani ricorda i suoi anni da calciatore, dalle giovanili nerazzurre fino all’ultima esperienza con la Lazio, passando per squadre importanti come Juventus, Napoli, Genoa (dove fu a lungo il cannoniere del derby), Milan, Cosmos, e poi la maglia azzurra appena assaporata (solo due presenze, per la temibile concorrenza all’ala destra di quegli anni, “anche se io segnavo più dei vari Claudio Sala, Causio e Bruno Conti”, precisa con orgoglioi) e la sua successiva attività di procuratore. Parallelamente, veniamo introdotti con foto e schede tecniche nelle oltre cento opere d’arte (da non perdere le scarpe-sculture che omaggiano le principali squadre dove ha giocato) che compongono la collezione Damiani, con la frequentazione di grandi artisti (Gino De Dominicis, forse, il preferito) e delle più importanti galleria d’arte italiane. Una doppia vita, ammette Damiani nell’introduzione, trascorsa tutta con l’identico “stupore del bambino”, quel colpo al cuore che si può provare “nel segnare un gol quanto nell’osservare un capolavoro artistico”.
L’ARTE NEL PALLONE, di Oscar Damiani, a cura di Angela Faravelli; Chimera Editore, 190 pagine, 20 euro.

«Ho un difetto enorme, e lo rivendico: l’amicizia con Adriano Panatta. Ho attraversato i miei anni con voracità, bevendoli tutti d’un sorso e sbagliando molto, ma aprendo strade che lo sport italiano percorre con successo ancora oggigiorno…». Due anni fa, in questi giorni, se ne andava Cino Marchese, manager di grandi campioni, soprattutto nel tennis (ma seguì anche, tra gli altri, atleti come Tomba e la Compagnoni), il primo a portare in Italia il concetto di marketing e business applicati allo sport. Ci è sembrato giusto quindi rispolverare questo libro, scritto con l’aiuto della penna sapida di Gaia Piccardi, firma del Corriere della Sera. Una vita straordinaria, quella di Marchese da Valenza Po, sfuggito ad una comoda esistenza lavorativa nel ramo orafo dell’azienda di famiglia per trasferirsi a Roma, in una casa piccola, sì, ma in via dei Giubbonari, per diventare presto amico di Adriano Panatta, il golden boy del tennis italiano degli Anni Settanta e qui cominciare una nuova vita. Prima alla Lafont, marchio di abbigliamento umbro (mettendo sotto contratto John Newcombe e John Alexander, subito vincitori di Coppa Davis) poi sempre più su, in un vorticoso giro di valzer, arrivando a guidare per trent’anni circa l’ufficio italiano della IMG di Mark McCormack, la prima grande compagnia di gestione manageriale degli atleti. Marchese si interessa per primo di marketing e diritti televisivi, gestisce e diventa amico e confidente di tanti campione: è lui che Loredana Bertè, all’alba di un giorno di febbraio del 1989, chiama perché Borg, il suo compagno, è entrato in coma dopo aver ingerito 60 pastiglie di un potente sedativo. Tra Paolo Rossi e Navratilova, Roberto Baggio e Jennifer Capriati, tra il Villaggio Vip degli Internazionali di tennis - una sua creazione - al torneo di Palermo, che ha gestito a lungo, il libro diventa il racconto di una splendida stagione del nostro sport, che si è imposto nel mondo anche grazie a uomini come Cino Marchese. A introdurre il tutto, il ricordo di campioni che lo hanno conosciuto bene, come John Newcombe, Ion Tiriac e Monica Seles.
IL MARCHESE DEL TENNIS, l’autobiografia del più potente manager dello sport nell’Italia ruggente degli anni Ottanta; di Cino Marchese con Gaia Piccardi, Absolutely Free Editore, 216 pagine, 18 euro.


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