Wimbledon, Hewitt esclusivo: "Russi e bielorussi fuori, non avevamo scelta"

Intervista al presidente dell’All England Club: "O pretendevamo una condanna pubblica della guerra, e quindi di Putin, o li escludevamo"
Wimbledon, Hewitt esclusivo: "Russi e bielorussi fuori, non avevamo scelta"© Getty Images
Gabriele Marcotti
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LONDRA - Dal centesimo anniversario del Centre Court, la cattedrale dei gesti bianchi, Wimbledon ha escluso i tennisti russi e bielorussi. Una decisione controversa, criticata, essenzialmente politica, in conseguenza all’invasione russa dell’Ucraina. Che il presidente dell’All England Club Ian Hewitt difende - in un’intervista esclusiva con il Corriere dello Sport-Stadio - criticando la ritorsione adottata da ATP e WTA, che hanno tolto punti per la classifica ai Championships edizione 135. «La ritengo una risposta sproporzionata, eccessiva, che finisce per penalizzare tutti i giocatori presenti nei tabelloni. Il prestigio di Wimbledon resta intatto, così come il valore sportivo del torneo, ma è evidente lo scontento dei giocatori». 

Come si è arrivato alla decisione di escludere gli atleti di Russia e Bielorussia. 
«Purtroppo non avevamo scelta, davanti a noi ci erano rimaste due sole possibilità: o pretendere dagli atleti russi e bielorussi una condanna scritta della guerra, e dunque di fatto di Vladimir Putin, oppure la loro esclusione. Dopo aver riflettuto sulle possibili implicazioni per la sicurezza degli atleti, abbiamo preferito optare per l’esclusione. Una decisione molto dolorosa, la più difficile di sempre probabilmente». 

Quanto hanno pesato le pressioni esercitate dal governo di Boris Johnson? 
«E’ evidente che è stata una decisione concordata con le autorità di questo paese. Wimbledon va oltre il semplice torneo di tennis, è una delle principali istituzioni di questo paese, e non potevamo rischiare che venisse strumentalizzato». 

C’è chi l’ha definita una decisione ingiusta e discriminatoria, che punisce i singoli atleti per il loro passaporto, andando ben oltre le sanzioni previste dal Comitato Olimpico, riservate alle sole squadre nazionali.  
«Comprendo i rilievi critici e sapevamo che sarebbe stata oggetto di dibattito. Ma noi avevamo la responsabilità di tutelare l’integrità del torneo e nello stesso tempo dare un segnale forte e chiaro di condanna della guerra». 

E’ vero, come è stato confermato anche da autorevoli fonti, che non si è voluto rischiare che la Duchessa Kate Middleton dovesse premiare un eventuale vincitore russo? 
«Voglio solo dire che non potevamo permettere che Wimbledon potesse trasformarsi in un’occasione di propaganda per il governo russo. Era un rischio concreto che Wimbledon, come istituzione nazionale, non poteva correre». 

Ha qualche rimpianto rispetto a come è stata gestita l’intera vicenda? 
«Avrei preferito che ci fosse un maggiore spirito collaborativo tra tutte le componenti del mondo del tennis, senza intraprendere azioni unilaterali come, per esempio, è capitato con i punti del ranking». 

Non resta che consolarsi con il ritorno del pubblico, a piena capienza.  
«Sono d’accordo. Oltre alla sua rilevanza sportiva, Wimbledon resta innanzitutto un’esperienza per tutti coloro che varcano i nostri cancelli. Senza presunzione, qui si respira un’atmosfera unica che non ha eguali».

Qual è il segreto di Wimbledon? 
«Non sarebbe un vero segreto se glielo rivelassi. Al di là della battuta, credo che finora siamo stati bravi ad andare avanti, ma sempre nel rispetto della tradizione. Il complimento che più apprezzo, anche rispetto agli ammodernamenti che abbiamo introdotto negli ultimi anni, è che qui tutto cambia senza sembrare che cambi. Una trasformazione continua, ma nel solco della nostra lunga storia. Di cui ovviamente siamo molto orgogliosi». 


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