Sinner, niente tatuaggi, pochi social: tutti i segreti di un vincente

Il ritratto di Jannik, primo tennista italiano ad accedere alle semifinali delle Atp Finals
Cristiano Gatti
6 min

Ma dove vuole andare questo Sinner. Può vincere quanto vuole, tutto quello che vuole, ma non ha i requisiti per diventare davvero un qualcuno. Non “buca” neanche col trapano. Ma guardiamolo: non si vergogna di andare in giro senza nemmeno un tatuaggio. Magari ne ha all’inguine, dentro le mutande, ma all’esterno, in pubblico, mostra solo quella patetica pelle bianca, vagamente malaticcia, comunque senza sugo e senza significati. Se non hai niente da comunicare sul collo e dietro le orecchie, dove vuoi andare al giorno d’oggi. D’altra parte, che sia un mezzo fallito lo si capisce al primo colpo: tutte le volte che glielo chiedono, risponde spudoratamente che “i social no, non mi piacciono tanto”. Alla sua età, non ha ancora sfasciato una Lamborghini alle quattro di mattina, tornando fradicio dalla disco. Penoso.

Sinner, una storia particolare

Forse solo qualche tecnocrate del marketing e dell’immagine riuscirà a rimodellarlo come si deve. Ma ne serve uno bravo. Si parte da una base deprimente. Questo Jannik ha una storia da mettersi le mani nei capelli. Infanzia da Heidi lassù in casa di dio, tra vacche e camosci, in quel postaccio infame che è Sesto, appena sopra San Candido, andarci per credere (lì ti manca l’aria, non c’è verso si farsi una boccata di polveri sottili, e non parliamo proprio a livello visivo, che so, un condominio di sette piani: niente, desolazione assoluta). Il piccolo Jannik cresce come un selvaggio, in mezzo ai prati fioriti, con il fratello Mark (adottato in Russia), sotto gli occhi di una madre che si chiama Siglinde e un padre che si chiama Hanspeter, via, come si fa. Non hanno un nome presentabile e fanno pure mestieri impronunciabili, lui cuoco e lei cameriera al rifugio Fondovalle.

Sinner, un ragazzo fuori dal branco

Anche solo per dimenticare, a 4 anni il piccolo bovaro si dà allo sci, dimostrando di avere dei numeri, specialità preferita slalom gigante. A 8 anni prova pure con il tennis, tanto per alternare estivi e invernali. Ed è poco dopo che si rivela con uno dei suoi ragionamenti da fuori di melone: “Nello sci allenamenti troppo lunghi per una gara così corta. Scelgo il tennis”. Uno svitato, uno che vuole usare la sua testa, fuori dal branco, già da subito. Bisognava capirlo da allora che non avrebbe fatto strada. Il seguito è inevitabile: per fare di testa sua, a 13 anni, nel 2014, decide di trasferirsi a Bordighera, per imparare (ma che verbo sarà, al giorno d’oggi) qualcosa di più e di meglio con il maestro Piatti. Mentalità vecchia, tradizionale, obsoleta. Sì, Jannik è vecchio dentro.

Sinner, l’anti-personaggio

Il seguito del tennista è quello che alla fine spadella il trionfo su Djokovic. Ma è a livello mediatico, d’immagine, di personaggio, che Sinner proprio non esiste. Anche quando cominciano a porgli qualche domanda, continua a raccontare d’essere attaccato alla sua famiglia, di sognare la colazione con loro, fratello e genitori. A donne, una frana: non si trova sui social o nella teletrash del gossip un solo reperto delle sue storie, soltanto voci e spiate, prima con la Marina Braccini, poi con la modella Laura Margesin. È un barbaro, un troglodita, un sociopatico: per dire, anche lui presumibilmente andrà a cena o in vacanza con la sua ganza, ma dannato se pubblica una volta qualche video di abbracci a polipo o di intimità scabrose. Gli infliggessero una dozzina di puntate dei Ferragnez, per farsi l’idea.

Sinner, la passione per il Milan

E avanti. Racconta di tifare Milan, di amare il basket Nba (LeBron e Houston i preferiti), non si fa mancare il dessert dopocena, a livello rivelazioni personali rivela di essersi finalmente comprato un televisore maxi “per gustare meglio la Formula 1”. Il massimo della trasgressione a Vienna: in una pausa a bordocampo, durante il match, si mangia una carota. Pare, si dice, che nemmeno scommetta. Irrecuperabile. Parla di privacy, giuro, continua a usare questo termine volgare. Alla sua età. Di più: da Bordighera ha seguito come un giovane Fantozzi i corsi dell’istituto tecnico di Bolzano, arrivando fino alla quarta. E passi. Ma quando finalmente la carriera e gli impegni frenetici del grande tennis l’hanno costretto a sospendere, s’è subito premurato di dire che appena possibile farà di tutto per completare il quinto anno, obiettivo maturità. Con i soldi che ha, tu dimmi cosa se ne farà del pezzo di carta e di quattro studi. Capace che questo si svegli un giorno con la bella idea di leggersi anche un romanzo. Gli va concessa solo un’attenuante: con la famiglia che si ritrova, cosa pretendere. Padre e madre non vanno praticamente mai in tribuna, non compaiono nei “Verissimi”, non aprono in salotto l’album del battesimo e della comunione. Niente. Dopo la vittoria su Djokovic non si sono neppure presi la briga di diffondere qualche post con adeguati insulti a quelli che avevano criticato il figlio. Neanche un po’ di sano livore per difendere la creatura, neanche un minimo di astio. Famiglia assente. Fine del ritratto, meglio finirlo qui. Sinner non è smart, non è wow, non ha niente di quello che serve per piacere alla gente. È fuori dal suo tempo, è sfasato totalmente. È un anti-personaggio, un anti-italiano, un anti-tutto. Uno sfollagente. E i risultati si vedono in questi giorni. Basta guardarci in giro. Non se lo fila nessuno.

 

 


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