Il primo allenatore di Sinner: "Gli dissero: Non sai fare due palleggi"

Il maestro Spizzica ci racconta Jannik bambino: "Andava sempre all’attacco e non voleva mai perdere"
Alessandro Nizegorodcew
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«Tornare a seguirlo dal vivo è stato bellissimo. Questo ragazzo è per me una sorpresa continua». Parola di Andrea Spizzica, primo maestro (insieme a Heribert Mayr) di Jannik Sinner. «Merita ogni successo - spiega il coach romano, che tanti anni fa si è trasferito in Alto Adige per lavoro - perché oltre a essere un tennista eccezionale è un ragazzo umile e di grandi valori. In questi giorni ero a Torino per il Masters NextGen U.12 con mio figlio e siamo andati a vedere Jannik contro Rune. Un’emozione per me indescrivibile». Spizzica ha incrociato la racchetta con Sinner per la prima volta ben 15 stagioni fa, ma alcune qualità erano già evidenti. «Il primo anno in cui arrivai a Brunico, “Hebi” Mayr mi segnalò questo ragazzino di 7 anni. Giocai con lui nonostante io non parlassi una parola di tedesco e lui una parola di italiano; finimmo quell’ora e da lì cominciò il nostro rapporto. Inizialmente Jannik giocava poco, si divideva tra tennis e sci. Il nostro obiettivo principale divenne fargli scegliere il tennis. E così, per fortuna, è stato».

Cosa saltava agli occhi?

«Il tempo sulla palla. È stato facile per noi indirizzarlo a un gioco offensivo, cercando di fargli tenere i piedi dentro il campo. A 12 anni andava in difficoltà con i ragazzi più strutturati di lui fisicamente, che con maggiori rotazioni riuscivano a tenerlo lontano dalla riga di fondo. Jannik ha sempre seguito i nostri dettami, anche quando a un raduno per la Nazionale un maestro lo criticò perché, secondo lui, non sapeva “fare due palleggi” per via del suo gioco votato all’attacco».

L’impressione è che Sinner migliori con relativa facilità. È una spugna.

«Non c’era mai bisogno di ripetere. Ascoltava, capiva, imparava e replicava l’esecuzione tecnica in campo. Nella carriera da maestro di tennis mi è capitato solo una volta».

Il maestro Mayr ha raccontato che Jannik, da piccolo, era arrabbiatissimo quando perdeva il tie-break di fine lezione. La fame di vittorie si intuiva già?

«Era molto competitivo, non voleva perdere mai. Ma se gli chiedevamo di inserire una chiave tattica diversa, per cui magari non era ancora pronto, non si tirava indietro. A costo di perdere».

Cosa dicono i NextGen di Sinner?

«Tutti i ragazzi parlano di lui, è un traino eccezionale per il movimento. Non abbiamo mai avuto un atleta così forte nell’Era Open. E la cosa bella sa qual è?».

Dica.

«Che siamo solo all’inizio. Jannik ha 22 anni, può crescere e vincere tantissimo».

Così giovane ma già tante scelte importanti alle spalle.

«Scelte che definirei coraggiose. Non è banale lasciare casa così presto, vivendo le difficoltà che qualsiasi ragazzo incontra lontano dalla famiglia. Momenti che hanno formato il suo carattere. Passare da coach Piatti a Vagnozzi è stata un’altra scelta delicata. Non conosco le motivazioni, ma ha avuto ragione Jannik».

Sinner oggi è nel gotha dello sport italiano.

«Jannik è sempre stato un ragazzo semplice, umile, con enormi valori. Ha la cultura del grande lavoratore, che deriva da un’eccellente famiglia. Sa che i risultati si ottengono allenandosi giorno dopo giorno. Nonostante sia il personaggio del momento in Italia, rimarrà sempre con i piedi per terra».

Può diventare numero 1 del mondo?

«Sì. Ormai ne ha solo tre davanti».


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