Sinner, sublime resilienza

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Alessandro Barbano
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Sublime resilienza. Corda di violino che si flette in un suono denso e dolce. Sinner affonda i suoi colpi a destra e a manca, mandando al manicomio un palleggiatore navigato come Medvedev, e il suo crescendo somiglia a una sinfonia scritta insieme da Puccini e Wagner, dal melodramma latino e dalla metafisica germanica, in una terra di confine dove da sempre sta la perfezione. Perché Jannik è italiano fino al midollo, ma l’italiano che tutti vorremmo essere e che non siamo. L’italiano proiettato verso un altrove dal sogno e tenuto per terra dal dominio delle emozioni. L’italiano ambizioso e umile, mai ebbro della sua gloria e mai schiavo dei suoi limiti.

Un figlio così si adotta e basta, anche a costo di coprirsi il capo di carote. Nell’arena illuminata delle Atp Finals, un Paese intero s’inchina alla sua misura, qualità prestazionale massima del più scientifico degli sport. Dove non vince chi batte meglio e più forte, non vince chi ha più braccio o più gamba, vince chi conosce l’arte segreta del dosaggio. Di energie, di tecnica, di fantasia. Dopo aver superato un maestro del dosaggio come Djokovic, Sinner non poteva che finire in finale, dove oggi l’unica vera sfida che conti si rinnova. E il magico sorpasso dell’allievo sul maestro torna ad annunciarsi come un miracolo di San Gennaro. La liquefazione del sangue coincide con il superamento dell’idea che la perfezione sia un concetto assoluto. Jannik ha dimostrato che la sua perfezione sopravanza quella del divino serbo, sei volte trionfatore nelle Finals. Basta questo per attendersi che il prodigio si ripeta un’altra volta. C’è nella tempra di questi uomini una riserva supplementare e non visibile di carattere, pronta a essere spesa nei momenti chiave della vita. Ieri è accaduto al secondo set, sul quattro a tre per Medvedev, quando la pervicacia dello spilungone russo ha provato a sfondare la resilienza del fanciullo italiano in uno scambio da fondo campo che è parso infinito.

È stato a quel punto che il fascio di muscoli di Jannik si è prodotto in una magica convessità, come ad accogliere e assorbire tutta la furia del suo avversario. In quel momento Medvedev ha intuito che la vittoria del set sarebbe stata poco più che un’agrodolce concessione che si fa agli sconfitti, per risparmiargli l’umiliazione. Anche in questo la misura di Sinner è arte del comando. Comunque vada stasera, la kermesse torinese ha scoperto la naturale vocazione alla leadership del ragazzo di San Candido. Che vinca oppure no, è già un numero uno per predestinazione. Il finale tra i quattro giocatori più forti del mondo sarebbe la cornice a un’incoronazione naturale. Ma quand’anche ciò non avvenisse, quand’anche Jannik dovesse soccombere a Djokovic, per fatica o per una diversa tempistica della sua maturazione a noi tutti sconosciuta, quel momento sarebbe solo rimandato. I risultati dello sport talvolta non tengono alla velocità della storia. Che ha già sentenziato il suo verdetto, mandando un altro ragazzo d’oro a portare a spasso per il mondo il genio italiano.


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