Sotto le stelle c'è solo l'Inter: cronaca di una domenica di festa e polemiche

Dalla cattedrale profana di San Siro al Duomo: gli eroi di Inzaghi sfilano tra il popolo nerazzurro
Cristiano Gatti
5 min
MILANO - Per una volta faccio obiezione di coscienza, lascio perdere i social. Proprio non li considero. Tutti i giorni il mondo ci sembra trasferito lì, esiste solo quello che passa e che sfonda lì, misura e baricentro per campare adeguati. Improvvisamente, la festa scudetto. E grazie al cielo tutto torna analogico, reale, vero. Se qualcosa di impalpabile c’è, sta nell’emotivo e nel sentimentale, comunque roba più vera e concreta del reale. È vera la gente a decine e decine di migliaia, è vera la festa che un anno dopo Napoli rende un po’ napoletana anche la Milano fredda, cinica e calcolatrice. C’è veramente tutto quello che serve per la festa perfetta. C’è la stella del ventesimo scudetto, neanche il caso di dirlo. Ma c’è anche tutto un incastro di bellezze assortite, a rendere l’idea: c’è la vittoria sul Toro che tiene calda la corsa ai record, c’è persino la possibilità di timbrare il cartellino del politicamente corretto (terna arbitrale femminile: parità di genere, festa inclusiva), c’è il pellegrinaggio dal duomo profano (San Siro) al Duomo vero, ci sono i pullman scoperti con sopra gli idoli svalvolati nel cretinismo allo stato brado, c’è l’ambulanza con lo scudetto, c’è il trattore allegorico tipo Carnevale di Viareggio, c’è il tipo che chiede alla sua dama se vuole sposarlo (questi, sinceramente, hanno abbastanza rotto l’anima), c’è l’ignaro che si accoda eccitato credendo ci sia il concerto di Elodie, c’è Zanetti che si affaccia e benedice la folla dalla Terrazza 21 di piazza Duomo, genere Angelus di Bergoglio (dev’essere che gli argentini ce l’hanno nel sangue), ci sono i Vip del morattismo e del vecchionismo e del serrismo che ricamano con l’uncinetto degli aforismi ovunque glielo chiedano, ma soprattutto c’è la tifoseria media e borghese che a parte la Juve – più del Milan – non odia praticamente nessuno.  
Amala, pazza Inter amala: lo storico inno, mai dimenticato, predica messaggi da figli dei fiori, quasi francescani, e difatti bisogna ammetterlo, è la festa perfetta grazie a loro, ai centomila più o meno che non concedono nulla alla rabbia e alla cattiveria, alle rappresaglie e ai regolamenti di conti. È la festa possibile, cioè la dimostrazione che non sempre e non per forza si debba ogni volta degenerare in lacrimogeni, cariche, manganelli, taglierini e fermi di polizia. Sicuramente qualcuno avrà celebrato il rito a modo suo, tirando su polvere come un Dyson o bevendo come un’idrovora, ma questi per una volta non rubano i titoli, non fanno notizia, non fanno danni e più che altro non fanno maggioranza. 
Là fuori, nel mondo civile, c’è la festa vera di una squadra vera, allenata magistralmente da un allenatore vero, gestita da manager veri, sostenuta da gente vera. Il resto avanza. Un anno dopo Napoli, è un’altra domenica italiana che sa di buono. Una domenica che tira mattina per presentarsi a scuola e in ufficio – in fabbrica a Milano non usa più – con la borse sotto gli occhi e le idee un po’ psichedeliche. Dopo tutto, è una domenica italiana che non deve dispiacere neanche agli altri delle altre squadre, agli sconfitti, ai delusi, ai depressi. Lo scudetto, come la vita, è una ruota che gira. Bisognerebbe capirlo, possibilmente accettarlo. La festa perfetta dell’Inter, nella sua mezza Milano e nell’Italia della sua sponda, è una festa che idealmente fa male a tanti, ma fisicamente non fa del male a nessuno. Per le nostre abitudini, un risultato decisamente niente male. Sarà stupidotto come gioco di parole, ma è a tutti gli effetti una festa stellare. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA