Malagò, dieci anni da numero uno del Coni: "Vittorie e tradimenti, oggi sono un altro"

L'intervista esclusiva: "Sto vivendo il mio sogno ma ho imparato a non fidarmi più. Ho incrociato otto governi, al Cio dicono che siamo dei fenomeni. Vezzali? Esperienza traumatica"
Malagò, dieci anni da numero uno del Coni: "Vittorie e tradimenti, oggi sono un altro"© Giuseppe "Pino" Fama
Paolo de Laurentiis e Giorgio Marota
10 min

ROMA - Dieci anni domani. Giovanni Malagò guida lo sport italiano dal 19 febbraio del 2013. Ha realizzato il suo sogno («Volevo fare quello che sto facendo da quando avevo 28 anni») anche se all’inizio sembrava un incubo: «Ho vinto le elezioni da alieno, il Coni è una macchina gigantesca e ho dovuto imparare tutto. Oggi vado col pilota automatico». Dieci anni raccontati anche dal suo ufficio: foto, dediche, cimeli messi forse alla rinfusa per un osservatore esterno anche se non c’è mai la sensazione di disordine. Meno che mai sulla sua scrivania, coperta di cartelline gialle che combaciano meglio di un tetris. Sono 103 le medaglie olimpiche vinte sotto la sua gestione e il viaggio non è finito. Restano comunque almeno altri due anni da guida del Comitato Olimpico Nazionale Italiano. «La mia missione».

Presidente Malagò, che decennio è stato?

«Pesante, complicato, faticoso. Ma ne sono orgoglioso. Mi guardo indietro e vedo dei risultati incredibili».

Rifarebbe tutto questo?

«Se non fossi così felice, mi sarei già chiamato fuori. E invece continuo a difendere lo sport con le unghie e con i denti. Lo devo al bambino che ero e all’uomo che sono diventato»

Quanto l’ha cambiata questa esperienza?

«Mi ha stravolto la vita. Il Coni è una macchina gigantesca, nel 2013 quando sono arrivato dovevo imparare tutto. Passare dal privato al pubblico è scioccante per un decisionista come me. Adesso vado col pilota automatico. Conosco questo mondo così complesso e meraviglioso come le mie tasche ma non sono la stessa persona di prima. Oggi mi fido meno perché sono stato tradito da qualcuno a cui avevo dato tutta la mia fiducia».

Contro Pagnozzi, nel 2013, la davano tutti per sconfitto.

«Ma io ero sicuro di vincere. Prevedevo tra i 38 e i 45 voti, ne ho presi 40».

Negli ultimi anni è cambiato tutto. L’arrivo di Sport e Salute, la riforma, la battaglia per l’autonomia. Lei l’ha sempre giudicata un’invasione di campo. Cosa vuole la politica dallo sport?

«Dovreste chiederlo a loro. Forse pensavano che mettere le mani sullo sport potesse dare una spinta sotto il profilo del consenso. Mai errore fu più grande».

I politici passano ma Malagò resta?

«I nostri 14 milioni di tesserati non vogliono ingerenze dalla politica. I partiti che ci hanno provato sono stati bastonati alle urne. Collaborazione sì, ingerenze no. Io, nel frattempo, ho vinto 3 elezioni con un consenso sempre maggiore».

Dal governo Meloni cosa vi aspettate?

«Una svolta, perché così non è possibile andare avanti. Il ministro Abodi lo sa».

Dieci anni di stabilità sportiva mentre i governi alla guida del Paese cambiano in continuazione.

«Abbiamo cominciato con Monti. Sette governi diversi. No, otto perché Conte l’abbiamo avuto due volte. Al Cio ci dicono che siamo dei fenomeni, quella italiana è una vera follia. Serve una stabilità politica. Ci siamo trovati benissimo con tutti, a parte la presidenza Conte. Benissimo anche con Draghi, ma l’esperienza della sottosegretaria Vezzali è stata traumatica»

Parigi 2024 doveva essere la nostra Olimpiade. E quell’appuntamento con la sindaca Raggi...

«I 5 Stelle ce l’avevano col mondo che rappresentavo. La cosa triste di questa vicenda è che io ero nell’ufficio della sindaca con Pancalli, presidente del Comitato Paralimpico e Bianchedi, campionessa olimpica, manager, mamma di due bambini e medico. La sindaca era da un’altra parte a pranzare. È stato vergognoso».

Non le ha mai perdonato quello sgarbo istituzionale.

«Pensai che da lì in poi avrebbero avuto un crollo elettorale. E così è stato. Oggi i sondaggi dicono che oltre l’80% dei romani vorrebbe le Olimpiadi».

I Giochi di Milano-Cortina rimargineranno la ferita?

«Saranno un evento magnifico. Ma la ferita di Roma resta. È come se ci avessero fatto salire su un aereo bellissimo, in prima classe, per poi farci tornare indietro a metà del volo».

Il Cio però ha continuato a credere nell’Italia.

«Poteva punirci per quella figuraccia, oppure considerarci vittime di questa signora che ha sfasciato tutto. Per fortuna i miei colleghi hanno capito che, nonostante tutto, eravamo rimasti sempre attaccati al carrello dell’aereo».

Quante medaglie possiamo vincere a Parigi?

«Noi vogliamo andare meglio di Tokyo ma sarà l’ultima Olimpiade con certi risultati. E lo dice un ottimista. Per il numero di medaglie conterà la presenza o meno dei russi».

L’Ucraina minaccia il boicottaggio. C’è davvero questo rischio?

«Fa benissimo il Cio a perseguire l’obiettivo di coinvolgere tutti. Il Cio è forte se resta unito. Togliere ai russi bandiera, inno e squadre mi sembra abbastanza. Rischiamo però che qualcuno non voglia gareggiare se c’è un russo in pedana o in corsia».

Come immagina lo sport nei prossimi dieci anni?

«Il calo demografico ci taglierà le gambe. Servono politiche di natalità importanti. Nel 2022 siamo stati il terzo Paese dopo Usa e Australia contando tutte le competizioni, con i dati che abbiamo confermarci sarà quasi impossibile. Penso anche ai dirigenti e questo mi preoccupa: oggi si va verso la specializzazione e le competenze amministrative, contabili e finanziarie. Non basta più essere appassionati»

I presidenti federali vogliono cancellare la norma dei tre mandati. Dodici anni non bastano per lasciare un’eredità?

«Secondo me bastano, lo dico con molta franchezza».

Il Coni però ha raccolto tutte le istanze, portandole poi al governo.

«Sì perché posso anche capire la protesta. Perché un presidente federale, che viene eletto, deve sentirsi dire “vai a casa” da chi sta in politica a oltranza? Di sicuro bisogna trovare una soluzione anziché andare per carte bollate nei tribunali».

Anche lei è al terzo mandato.

«Sul tema più che sereno sono serafico. Il Coni è un ente pubblico, le federazioni sono di natura privatistica. Non è una partita che mi riguarda. Ho un numero enorme di incarichi, se dovesse mancarne uno non sarebbe un problema».

Lo sport rappresenta il 3,6% del Pil. Vi aspettavate un ministero con portafoglio?

«Già avere un ministero e una persona seria e competente come Abodi è molto. Certo, col portafoglio sarebbe stato molto meglio».

Il calcio è tornato in giunta dopo tanti anni sull’Aventino. Spesso, in passato, lei è stato accusato di non considerarlo abbastanza.

«Mai avuto problemi con il calcio. Il calcio è già molto conflittuale al proprio interno, non ha bisogno del Coni per litigare».

Alcuni però non vanno così d’accordo con Palazzo H.

«Abbiamo rapporti conflittuali solo con 2 federazioni su 45. Non mi sembra male come statistica».

Binaghi (tennis) e Barelli (nuoto)? I suoi avversari storici.

«Binaghi conosce a memoria il mondo del tennis, ma non conosce quello dello sport. Il giorno dopo le elezioni del 2013 per lui sono diventato un idolo. Da quando c’è Sport e Salute invece non sono più nelle sue grazie. Barelli come presidente federale è da 10 e lode, con grandi intuizioni, ma è al centro di un monumentale conflitto di interessi che alla lunga non poteva che portargli dei problemi».

Torniamo per un attimo al pallone. “I presidenti di Serie A dei delinquenti veri”. Una battuta o pensa davvero che il nostro calcio abbia bisogno di una rivoluzione nella governance?

«Il calcio è obbligato a cambiare marcia. Quella era una battuta in una conversazione privata».

Il podio delle vittorie che l’hanno emozionata di più in questi 10 anni?

«La 4x100 di atletica ai Giochi di Tokyo, l’oro di Sofia Goggia a Pyeongchang nella discesa libera e il titolo Mondiale a Budapest di Federica Pellegrini, vinto contro tutto e contro tutti».

Federica la considera come un padre.

«E io penso che se sono diventato un buon dirigente lo devo a lei. Federica è il tema sul quale ho scritto le pagine più belle, utilizzandolo come canovaccio per tutti gli altri atleti».

Vincolo sportivo e lavoro. Si è andati verso una soluzione che però non soddisfa le federazioni. Perché?

«I lavoratori vanno tutelati, è sacrosanto. Ma per un aggravio gigantesco di costi rischiamo di non avere più un datore di lavoro. Possibile che per 24 mesi o 36 mesi lo Stato non si sia riuscito a tutelare le asd e le ssd? Le hanno abbandonate alla coda lunga della pandemia, al caro bollette, alle conseguenze economiche della guerra. Io non ci sto».

Malagò cosa vuole fare da grande? Il presidente del Cio?

«Il presidente del Cio ha un ruolo che ti assorbe al 100%. Il mio mandato scade nella Primavera del 2025 e ho talmente tante cose da fare qui, tra Milano-Cortina, il settore privato, il mondo delle istituzioni che non mi ci vedo proprio a vivere a Losanna. Sono comunque dell’idea che debba essere Bach a individuare la persona giusta per continuare la sua opera»

Il legame con il presidente Mattarella sembra andare oltre i rispettivi ruoli.

«Il presidente è uno sportivo vero e nei prossimi mesi lo vedrete in diversi eventi. Il nostro rapporto personale e istituzionale mi commuove».


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