Sergio Parisse come Francesco Totti: quando l'età è soltanto un alibi

Il giocatore di rugby italiano più forte e famoso di sempre non viene considerato una risorsa, come accadde anni fa a Francesco. Ed è un'ingiustizia
Sergio Parisse come Francesco Totti: quando l'età è soltanto un alibi
Chiara Zucchelli
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Metti da una parte il giocatore più forte e famoso dell'Italia del rugby. Guarda la sua carta di identità - quasi 40 anni - e pensa che riesce ancora ad essere decisivo. Riavvolgi la memoria: pensa al giocatore più forte della Roma, ad uno dei talenti più puri del calcio italiano, e pensa che, a quasi 40 anni, riusciva ad essere ancora determinante. E poi pensa che, ad entrambi, non è stato concesso di chiudere come avrebbero voluto: non per diritto divino, ma per merito. Sono tante le analogie tra Francesco Totti e Sergio Parisse: nel 2016-2017 a Totti, da sopportato più che da supportato, non venne consentito di lasciare il calcio come avrebbe voluto, tanto che gli fu persino negata la standing ovation di uno stadio come San Siro. Parisse, a Tolone, non se la passa così male nel club (giocherà tra pochi giorni la finale di Challenge), ma in Nazionale si trova di fronte un c.t (il neozelandese Krowley) che pare non intenzionato a convocarlo per la coppa del mondo. Per Parisse sarebbe la sesta, per l'Italia con ogni probabilità sarà l'ennesima competizione in cui cercare solo di far bella figura, visto che nel girone ci sono Nuova Zelanda e Francia. Praticamente nessuno, nello sport, ha giocato sei mondiali ed è chiaro che Parisse vorrebbe mettersi questo record alle spalle, prima di chiudere definitivamente con il rugby giocato. Ma non è solo questione di gloria personale: uno dei numeri 8 più forti e completi del rugby moderno, per cui la carta d'identità è francamente solo un dettaglio, può essere ancora utile a una Nazionale che ha un disperato bisogno di talenti e punti di riferimento. Non è un caso, non può essere un caso, che oggi i bambini conoscano Parisse, i Bergamasco, Lo Cicero e Castrogiovanni e fatichino a riconoscere i giocatori attuali. I rugbysti azzurri di ieri hanno tracciato la strada a quelli di oggi che, però, la percorrono a fatica, perché i risultati non arrivano e il pubblico non è neppure presente come prima. Parisse rappresenta esattamente il ponte tra quello che è stato e quello che potrebbe essere, con una sottile, ma sostanziale, precisazione: Sergio è ancora un rugbysta di alti livello. Lo dimostra in Francia e in Europa e se con l'Italia non gioca da un po' è solo perché ha scelto di gestirsi per allungarsi la carriera. Lo ha fatto, appunto, anche Totti. Non si arriva a essere protagonisti a 40 anni per caso, ma ci si arriva con la consapevolezza di dove può arrivare il proprio corpo. Francesco sapeva che non avrebbe potuto giocare sempre e sapeva pure che forzare in allenamento non lo avrebbe aiutato (da lì i famosi dati che Spalletti voleva portare a dimostrazione della sua "vecchiaia"), ma era certo che in campo poteva ancora dire la sua. Parisse lo stesso: sa perfettamente che il fisico, se giochi numero 8, a 40 anni ti porta il conto di più di metà vita in quell'inferno che è la mischia. Ma sa anche che non è ancora tempo di smettere, con quell'inferno. I numeri, i dati e le prestazioni sono tutti dalla sua parte. Krowley, probabilmente, no.

Niente coppa del mondo per Parisse?

Non convocare Parisse è un suo legittimo diritto, decidere di non farlo per una mera questione anagrafica è un alibi. Quando Federer ha smesso le sue lacrime hanno fatto il giro del mondo. Erano le stesse di Totti, Valentino Rossi, Federica Pellegrini, Serena Williams e Tom Brady. Con una differenza sostanziale: a (quasi) tutti questi straordinari campioni è stato concesso un privilegio: scegliere loro come e quando smettere di essere considerati un peso. Brady ha salutato tutti e poi ci ha ripensato. Federer ha vinto il suo ultimo slam nel 2018, Serena l'anno prima, Federica Pellegrini ha chiuso settima la sua finale d'addio alle Olimpiadi, Valentino Rossi ha vinto per l'ultima volta nel 2017. A (quasi) tutti è stato concesso di sbagliare e chiudere una carriera leggendaria non al top della forma. Logico, il tempo scorre. E tutto si può fermare meno che il tempo. Ma ognuno di loro ha avuto onere e onore delle battaglie: Federica nella sua ultima esibizione aveva in vasca le avversarie di una vita, Federer ha giocato con Nadal. A Totti, tutto questo, non è stato permesso, ma si è consolato con un'ondata d'amore universale.  Avrebbe potuto essere accompagnato meglio al passo d'addio, con più gratitudine e rispetto. La speranza è che niente di questo accada a Sergio Parisse: nessuno chiede, lui per primo, di giocare il Mondiale da titolare inamovibile. Ma per quello che ha dato al rugby e, soprattutto, per quello che è ancora in grado di dare, Sergio meritebbe di far parte della rosa azzurra in Francia. C'è modo e modo di dire basta: il giocatore italiano più forte di sempre nel rugby vorrebbe farlo in campo e per questo si prepara da tempo. L'ultima palla non spetta a lui, ma lui è pronto a farsi trovare lì. Nella mischia. Basta solo non cercare alibi.


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