Sereni: «Il calcio italiano è da rifondare»
L'ex portiere della Lazio vive in Sardegna: "Servirebbe un passo indietro. Mi dispiace per come finì la mia storia con la Lazio, ma non porto rancore a Lotito»
BAIA SARDINIA - Niente pali. Si diverte giocando da terzino a calciotto sui campi in erba della Punga, tra Baia Sardinia e Arzachena. Nel primo pomeriggio scattano le convocazioni di Dario Marcolin, mente e organizzatore instancabile della banda Mancini. Una presenza fissa appartiene a Matteo Sereni, l'ex portiere della Lazio, 39 anni e un ritiro precoce, maturato tra guai fisici e problemi familiari nati in seguito alla separazione tormentatissima dalla moglie Silvia, sua ex procuratrice. Da quattro anni Sereni vive in Sardegna, alla marina di Porto Cervo, con la sua nuova compagna, impegnata nel portare avanti un'agenzia immobiliare. "Con il calcio ho chiuso, sto benissimo e sinceramente non mi manca, anche perché mi sembra trasformato rispetto a sette-otto anni fa. Basta guardare come sono cambiati in peggio i rappporti umani. C'è troppa superficialità, si costruisce un castello in un giorno, società e squadre sono fragili. E' un calcio farlocco".
L'eliminazione dell'Italia dal Mondiale un altro segnale. "Non basteranno tre o quattro anni per riportare il nostro calcio ai vertici mondiali. Ci vuole un cambio generazionale. Abbiamo sbagliato tutti, anche noi calciatori, i dirigenti, la stampa e le televisioni che non hanno colto certi segnali. Ora dobbiamo ripartire da zero e con una nuova mentalità, non solo copiando i modelli di Spagna e Inghilterra. Ci vogliono capacità gestionali, organizzazione vera del settore giovanile e idee nuove, che poi sono le stesse che seguivamo prima. Io farei un passo indietro, tornando al calcio di una volta. Non bastano le nuove tecnologie per progredire...".
Si tiene in forma con il calcetto. "Ma non gioco più in porta, perché mi fa male la schiena". Nel 2007 venne ceduto dalla Lazio al Torino, ha mollato nel 2011 dopo gli ultimi sei mesi al Brescia. "Proprio all'Olimpico contro la Roma mi si è spostata la rotula durante il riscaldamento e ho capito che era finita. Mi facevo male in continuazione, credo che la separazione abbia influito. Non avevo più la condizione fisica e mentale per andare avanti". Eppure è stato un grandissimo portiere, ha sfiorato la nazionale quando era alla Lazio, avrebbe potuto fare una carriera migliore. Venne acquistato da Mancini e dal presidente Longo nell'estate 2003, entro subito in concorrenza con Angelo Peruzzi. Una rivalità forte (ma leale) e poi (soprattutto) il mancato rinnovo del contratto lo portarono ai margini e alla cessione proprio quando Lotito e Rossi stavano centrando la prima (e unica in dieci anni) qualificazione alla Champions. "Avevo sempre fatto il titolare. Arrivai con la mentalità un po' sbruffona del primo e non del secondo portiere. Pensavo di giocare, mi ritrovai in concorrenza con Angelo. Ci fu qualche difficoltà, ma poi riuscii a trovare i miei spazi in Coppa UEFA, vincemmo la Coppa Italia. Poi arrivo' Lotito, con Papadopulo alterne fortune sino alla prima estate di Rossi, quando la storia del rinnovo del contratto comincio a pesare".
Paradossalmente Sereni lascio' la Lazio proprio pochi mesi prima che Peruzzi desse l'addio al calcio. Qualche rimpianto? "Anche Angelo mi diceva di rinnovare. Quando mi ero convinto, cambiarono le condizioni. Mi dispiace di come sia andata con Lotito, sono finito fuori rosa, ma non porto rancore e capisco anche il presidente, all'epoca doveva pagare due squadre. Alla Lazio sono legato da bellissimi ricordi e ringrazio ancora Adalberto Grigioni, il preparatore dei portieri per come mi ha allenato. Mi trattava come un figlio, nei periodi più complicati e sempre stato un punto d'appoggio. Ora sono fuori dal calcio, ma continuo a seguire la squadra biancoceleste e spero che si rilanci. E' stata una stagione deludente, c'è bisogno di ritrovare entusiasmo".
© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di CalcioL'eliminazione dell'Italia dal Mondiale un altro segnale. "Non basteranno tre o quattro anni per riportare il nostro calcio ai vertici mondiali. Ci vuole un cambio generazionale. Abbiamo sbagliato tutti, anche noi calciatori, i dirigenti, la stampa e le televisioni che non hanno colto certi segnali. Ora dobbiamo ripartire da zero e con una nuova mentalità, non solo copiando i modelli di Spagna e Inghilterra. Ci vogliono capacità gestionali, organizzazione vera del settore giovanile e idee nuove, che poi sono le stesse che seguivamo prima. Io farei un passo indietro, tornando al calcio di una volta. Non bastano le nuove tecnologie per progredire...".
Si tiene in forma con il calcetto. "Ma non gioco più in porta, perché mi fa male la schiena". Nel 2007 venne ceduto dalla Lazio al Torino, ha mollato nel 2011 dopo gli ultimi sei mesi al Brescia. "Proprio all'Olimpico contro la Roma mi si è spostata la rotula durante il riscaldamento e ho capito che era finita. Mi facevo male in continuazione, credo che la separazione abbia influito. Non avevo più la condizione fisica e mentale per andare avanti". Eppure è stato un grandissimo portiere, ha sfiorato la nazionale quando era alla Lazio, avrebbe potuto fare una carriera migliore. Venne acquistato da Mancini e dal presidente Longo nell'estate 2003, entro subito in concorrenza con Angelo Peruzzi. Una rivalità forte (ma leale) e poi (soprattutto) il mancato rinnovo del contratto lo portarono ai margini e alla cessione proprio quando Lotito e Rossi stavano centrando la prima (e unica in dieci anni) qualificazione alla Champions. "Avevo sempre fatto il titolare. Arrivai con la mentalità un po' sbruffona del primo e non del secondo portiere. Pensavo di giocare, mi ritrovai in concorrenza con Angelo. Ci fu qualche difficoltà, ma poi riuscii a trovare i miei spazi in Coppa UEFA, vincemmo la Coppa Italia. Poi arrivo' Lotito, con Papadopulo alterne fortune sino alla prima estate di Rossi, quando la storia del rinnovo del contratto comincio a pesare".
Paradossalmente Sereni lascio' la Lazio proprio pochi mesi prima che Peruzzi desse l'addio al calcio. Qualche rimpianto? "Anche Angelo mi diceva di rinnovare. Quando mi ero convinto, cambiarono le condizioni. Mi dispiace di come sia andata con Lotito, sono finito fuori rosa, ma non porto rancore e capisco anche il presidente, all'epoca doveva pagare due squadre. Alla Lazio sono legato da bellissimi ricordi e ringrazio ancora Adalberto Grigioni, il preparatore dei portieri per come mi ha allenato. Mi trattava come un figlio, nei periodi più complicati e sempre stato un punto d'appoggio. Ora sono fuori dal calcio, ma continuo a seguire la squadra biancoceleste e spero che si rilanci. E' stata una stagione deludente, c'è bisogno di ritrovare entusiasmo".
