Galli: «Il mio Niccolò elegante e dolce. Maradona? Mi lasciò di sasso» 

L'intervista esclusiva all'ex portiere dell'Italia che racconta la sua vita nel calcio, dalla tragica morte del figlio al gol preso da Diego nell'86 in Messico
Galli: «Il mio Niccolò elegante e dolce. Maradona? Mi lasciò di sasso» 
Walter Veltroni
2 min

Galli è stato un portiere elegante e riservato. Non faceva tuffi inutili, non alimentava polemiche, aveva il sale in zucca. I portieri o sono matti, o sono saggi o sono le due cose insieme. Galli militava, come Zoff, tra i saggi. In queste righe racconta le sue gioie più belle, le partite indimenticabili, l’amore smisurato per il calcio.

E racconta il suo dolore più profondo. Un figlio, che sarebbe stato un campione, ucciso da un terribile incidente stradale. Il dolore rende ciechi o fa vedere meglio la vita e le cose. Galli è riuscito, con il sostegno della sua famiglia e di una fede profonda, a sopportare il più disumano dei dolori. È restato saggio, elegante. Vede le cose con gli occhi lucidi ma non smette di guardarle e di riconoscerle.

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Perché da ragazzo lei ha scelto di fare proprio il portiere?

«Non è stata una mia scelta, è stata quasi una forzatura. Eravamo tutti amici, arrivavamo tutti dalle case popolari di Pisa. Decidemmo di formare una squadra e di partecipare al campionato. Io giocavo da mezz’ala all’epoca e tutto il precampionato e le amichevoli le ho fatte da centrocampista. Arrivammo alla prima giornata di campionato e, come sempre, nessuno voleva stare in porta. Il mio babbo, che mi aveva visto delle volte giocare in porta nelle nostre partite infinite del doposcuola, mi disse “Dai Giovanni, vai te in porta per questa partita, poi magari per la settimana prossima troviamo qualcun altro”. Quella partita andai in porta e vincemmo 4 a 2...» (...) 

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