Unlucky Luciano

Unlucky Luciano© ANSA
Ivan Zazzaroni
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Su Spalletti che non convoca Icardi poiché “non essendosi allenato per un mese e mezzo in un certo senso è un giocatore nuovo”, ma non escludo che possa portarlo mercoledì a Genova dove nel giro di soli tre giorni Maurito tornerebbe a essere un “giocatore vecchio e praticabile”, sottolineo solo che ha un’eccezionale capacità di passare del torto anche quando ha ragione: non dimentico che è uscito da Roma come l’artefice unico dell’addio di Totti nonostante, a differenza di altri in società, avesse dei buoni motivi (dinamismo, tenuta atletica di Francesco) per rinunciarvi.
Su Spalletti che anche per eccesso di coerenza o urgenza di credibilità nello spogliatoio ha perso la sfida con la Lazio leggerete di tutto e ovunque. Ha scelto la via del rischio, il salto nel vuoto, inducendo Marotta e mezza tifoseria a seguirlo, e non gli è andata bene. All’Inter che ha giocato una partita da squadra responsabile è mancato indiscutibilmente il centravanti. Il resto l’ha fatto la Lazio, dieci punti nelle ultime quattro gare, finalmente concreta e in grado di sfruttare la crescita sul piano della brillantezza di Milinkovic-Savic e Luis Alberto.
La Roma, occasionalmente fuori dalla zona coppe, resta invece intrappolata in un presente che non lascia respirare il futuro: oggi è una squadra sfibrata da cambiamenti e svuotamenti, irritabile; è un presidente che dagli Stati Uniti tira schiaffi e giacchette ma si fa mancare quando serve; ed è quattro dirigenti seduti in tribuna che non si guardano mai: Guido Fienga, preso da mille impegni, che non è precisamente un uomo di calcio; Mauro Baldissoni, promosso vicepresidente e responsabile di un progetto che per quantità e qualità degli ostacoli e lentezze fa concorrenza al ponte sullo Stretto; Totti l’icona, al quale dopo il ritorno di Monchi a Siviglia è stata concessa l’esposizione televisiva oltre alla condivisione di scelte non proprio sue; e Frederic Massara, il vicedirettore sportivo, troppo inesperto – pensano – per poter salire subito di grado.
Pallotta, dicevo, è lontano, so far, in America, e il suo consigliori a Londra, o forse a Città del Capo, certamente al telefono. Il più vicino alla squadra è Ranieri che tuttavia confessa di non riuscire ad aiutarla poiché non corre e non si capisce se ce l’abbia con i preparatori della gestione Di Francesco o con le caratteristiche di chi allena.
Altra realtà, il Napoli. All’Olimpico il Napoli è piazzato a pochi metri dal quartetto ma a chilometri di distanza per organizzazione e progettualità: il grande capo è autorevole, autoritario e talvolta inquisitivo, moltiplica scontri e antipatie ma è presente e molto ascoltato dalla truppa. Ancelotti e Giuntoli sono il completamento di una struttura asciutta e verticistica con idee e ambizioni chiarissime. Inutile giudicare tecnicamente l’1-4 di Roma-Napoli: ci sono fasi della stagione in cui può risultare stucchevole la ripetizione di cose già dette e stradette per mesi. La Roma non è ancora fuori dalla cosa alla zona Champions, questo segnala la classifica, ma deve cominciare a ripensarsi partendo dall’alto, uscendo da una situazione approssimativa: non può bastare un nuovo direttore sportivo per impostare il futuro e vincere la diffidenza di una tifoseria scazzatissima alla quale è venuto a mancare il sogno.
Dentro un sogno si è invece rituffata Bologna alla quale Mihajlovic ha restituito la speranza e la voglia di calcio con 13 punti in 8 partite: il successo sul Sassuolo ha qualcosa di indefinibile, per i tempi quasi mistico: il gol all’ultimo assalto di Destro l’irrisolto (“cot in bianc”), appena entrato, e in precedenza l’ingresso di Pulgar per la trasformazione del rigore.
In una sola domenica due volte in A, la mia città: nel calcio e nel basket dove dopo dieci anni ritrova il derby e una coinvolgente teoria di Basket City.

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