Baggio si racconta: "Il mio Mondiale negato"

I ricordi dell'indimenticato campione azzurro: «Meritavo di andare in Corea ma Trapattoni mi lasciò a casa: un premio che il calcio mi doveva, per questo mi sono allontanato»
Baggio si racconta: "Il mio Mondiale negato"© Bartoletti
Andrea Ramazzotti
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La non convocazione ai Mondiali del 2002 gli fa ancora male come il ginocchio destro martoriato da 220 punti interni che lo ha tenuto in scacco per tutta la carriera. «Giocare quel Mondiale è qualcosa che il calcio mi doveva e forse è per questo che mi sono allontanato dal mondo del pallone» ha detto ieri con gli occhi umidi Roberto Baggio. Al Festival dello Sport di Trento è stata la sua giornata: gente in coda per strada fin dalle 11,30, richiesta di posti quattro volte superiore alla capienza del teatro, applausi scroscianti, cori da stadio, lacrime ed emozioni impossibili da contenere per questo ragazzo di 52 anni che è stato amato ovunque. Al Teatro Sociale ne ha avuta un’ulteriore dimostrazione: ha firmato autografi, maglie e poster, ha sorriso, ha commosso e si è commosso. Soprattutto quando ha parlato di Firenze, dell’addio al calcio e del suo maestro buddista, Daisaku Ikeda. Davanti a lui una platea adorante nella quale spiccata il vice presidente dell’Inter ed ex compagno Javier Zanetti. Per chi ama il calcio sentirlo parlare è stato un piacere e l’impressione che ci ha lasciato è stata struggente: Roby manca al calcio più di quanto il calcio manca a lui.

Baggio, cosa l’ha fatta diventare il giocatore che è stato?

«L’umiltà. Se non si ha paura delle sconfitte e delle cadute che tutti affrontano nella vita, trovare dentro la forza per risalire è più facile».

Lei a causa degli infortuni si è rialzato più volte.

«Il rapporto con Firenze è nato proprio per i gravi infortuni che ho avuto: sono stato due stagioni senza giocare, ma la gente mi chiedeva sempre come stavo e mi voleva bene. Il terzo anno sono tornato in campo; il quarto e il quinto ho ripagato i tifosi con i quali mi sentivo in debito. Con Firenze si è creato un legame profondo, non comune, ed è per questo che ho raccolto quella sciarpa (la prima volta che è tornato da avversario al Franchi, ndr)».

Quando l’hanno ceduta alla Juventus, per tre giorni a Firenze c’è stata la rivolta.

«Ci voleva solo un po’ più di chiarezza da parte della società. Bastava dire che non rientravo più nei piani e che mi avevano già venduto. Io non me ne volevo andare... Purtroppo in città ci furono tre giorni di guerriglia e dei feriti: ero in Veneto e mi sentivo in parte colpevole di ciò che stava accadendo. A distanza di tempo è venuto fuori che ho subito quella situazione». […]

Una favola non è stato il Mondiale del ’94 chiuso da quel rigore calciato alto a Pasadena.

«In carriera ne ho sbagliati altri, ma forse quello è stato l’unico che ho tirato alto. Eravamo indietro di un rigore, ma il mio errore è stato... il colpo di grazia. La sera prima di andare a dormire mi viene in mente anche adesso. Davvero... Da bambino sognavo Italia-Brasile in finale e la coppa vinta con un mio gol. Un epilogo analogo a quello di Pasadena non lo avevo mai immaginato».

La Nazionale le ha regalato più dolori che gioie?

«Mettere quella maglia era qualcosa di straordinario e incredibile. La sentivo in maniera particolare e avrei dato tutto, soprattutto dopo il rigore sbagliato in finale a Usa ‘94. C’era un senso di rivincita in me».

Per questo ha sofferto tanto la non convocazione ai Mondiali del 2002.

«Gente dell’organizzazione diceva che le rose erano state allargate da 22 a 23 elementi perché la Fifa contava che così ci saremmo stati sia io sia Ronaldo, ma Trapattoni mi lasciò a casa. Quella è stata una ferita paragonabile solo al rigore di Pasadena. Forse passerò da presuntuoso e arrogante, ma per una volta non mi interessa: meritavo di essere tra i convocati di quel Mondiale. Qualcuno aveva dubbi sulle mie condizioni fisiche complice l’operazione al crociato, ma ero tornato appena 77 giorni dopo l’intervento. Anche se non avrei giocato, non meritavo di star fuori. Era qualcosa che il calcio mi doveva. Forse è anche per questo oggi mi sono allontanato».

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