Rummenigge esclusivo: "Si deve giocare, il campo limiterà i danni"

Icona del calcio mondiale, dirigente di successo e membro dell’esecutivo Uefa, l’ex centravanti dell’Inter affronta con decisione l’emergenza: «Disciplina e consapevolezza. Per dieci anni il calcio ha vissuto oltre le proprie possibilita? e soltanto i club si sono assunti tutti i rischi»
29. Karl-Heinz Rummenigge© AFPS
Ivan Zazzaroni
5 min

Ero a San Siro la sera del 24 ottobre ’84 per Inter-Glasgow Rangers, secondo turno di coppa Uefa. Due posti in curva, i biglietti li aveva trovati il mio amico Pierpaolo Barbieri, bolognese ma interista, musicista funky con tanto di fidanzata a San Donato Milanese. Pier è morto quattro anni fa e anche - se non soprattutto - per questo il ricordo della rabbia che provammo quando l’arbitro Roth, tedesco dell’Est, annullò per gioco pericoloso uno dei gol più belli della storia, si è trasformato in pensiero doloroso ma anche di struggente dolcezza.

Cross di Altobelli più o meno dal vertice sinistro dell’area scozzese, Rummenigge, a pochi metri dalla porta, si inventa l’impossibile, spicca il volo e senza guardare il pallone con il destro salito fino al secondo anello compie il miracolo. Un gol da ma che cazzo ha fatto Kalle?! (godetevelo su youtube). «I miracoli sono sogni che diventano luce», disse Alan Drew, purtroppo Roth ebbe l’irragionevolezza di spegnerla, quella luce, mortificando il calcio. Sembra che negli spogliatoi abbia rischiato addirittura di prenderle da Altobelli. «Ero girato» mi spiega Kalle «e quando ho visto partire il pallone ho capito che non ci sarei mai potuto arrivare in un modo normale, era indispensabile che provassi l’acrobazia. Quando il pallone è entrato in porta sono rimasto sorpreso».

Bei tempi.

«Molto diversi da quelli che stiamo vivendo. Siamo dentro una crisi globale. Globale e spaventosa. Qui in Germania non abbiamo ancora i numeri dell’Italia, ma il livello di attenzione adesso è altissimo. La gente è molto disciplinata, da due settimane le restrizioni sono simili alle vostre, possiamo uscire per motivi di lavoro e per fare la spesa».

Però, a differenza nostra, avete ripreso ad allenarvi.
«Eravamo fermi dall’8 marzo, ultima partita quella con l’Augsburg in casa. Da tre giorni ci alleniamo a gruppi di quattro o cinque, rispettando i protocolli sanitari, ma in precedenza i nostri avevano seguito le indi- cazioni del tecnico sostenendo dei cyber-allenamenti. Delle videocall, tutti i giocatori collegati, durante le quali il preparatore atletico segnalava gli esercizi da fare. Novanta minuti di lavoro per volta».

Ripartite davvero il 9 di maggio?

«È tutto provvisorio. Il dg della Lega ha formulato delle ipotesi, prospettato degli scenari, qui l’organizzazione è molto importante. Ma le date non le decide il calcio, bensì la politica. Esattamente come in Italia. Non sappiamo ancora se riprenderemo al 100 per cento il 9 maggio. Sappiamo però che è necessario ricominciare. Per due motivi. Il primo è quello sportivo. Bisogna assegnare il titolo, sapere quali squadra parteciperanno alle coppe, chi retrocederà. Il secondo, non meno importante, è economico. Anche da noi le televisioni che trasmettono le partite hanno forte incidenza sui ricavi. Devono ancora versare l’ultima rata, e in particolare con Sky, la principale, il dg della Lega sta trattando le condizioni. Sappiamo che pagheranno, ma intorno al 15 ci sarà un altro check. Bisogna innanzitutto capire come evolve la situazione. Aspettiamo soltanto la luce verde del governo. Disciplina e sensibilità sono i nostri punti di forza». [...]

Infantino sta studiando un piano Marshall per il calcio.
«Mi auguro che intervenga in modo sostanzioso per aiutare le leghe attraverso un fondo di solidarietà. Deciderà lui chi assistere, determinante è che i soldi non finiscano nelle mani sbagliate. In questa fase sarebbe importantissima la riduzione delle distanze politiche tra Fifa e Uefa, che sono la madre del calcio mondiale e l’organizzazione più importante. Infantino e Ceferin dovrebbero migliorare le loro relazioni per sostenere insieme l’intero sistema. Io sono stato presidente dell’Eca per dieci anni, adesso c’è Andrea (Agnelli, nda) che lavora per contrastare una crisi imprevedibile ma che, se gestita con intelligenza, potrebbe risolversi in un miglioramento dello stato di salute del calcio».

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