Suvvia, Rezza spenga il virus e la tv

Suvvia, Rezza spenga il virus e la tv© ANSA
Alessandro Barbano
4 min

«Suvvia!», calcio, «siamo a maggio»: cosa vuoi che sia finirla qui? La battuta vola da un pulpito che, da tecnico, diventa politico. E somiglia a una messa in mora al governo. Così il direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, Giovanni Rezza, dice che il campionato non può ripartire. Se mancava una prova dello sbando istituzionale in cui versa il Paese, nel momento più di? cile della lotta alla pandemia, la prova è arrivata ieri.

Un consulente tecnico, chiamato a fornire al governo pareri scientifici riservati, si presta a dare in pubblico risposte che non gli competono. Lo fa da una tribuna – la conferenza stampa sui dati quotidiani del contagio – che ha assunto, in nome dell’emergenza, il ruolo di una surroga politica. Il ragionamento di Rezza calpesta qualunque grammatica istituzionale, con i modi di un analfabetismo populista che confonde ruoli, forme e lessico. Quando dice «io non farei ripartire il campionato», premette che il comitato tecnico, di cui fa parte, non si è pronunciato sulla questione. Ma ciò non lo frena dall’accreditarsi una franchigia personale ad esprimersi.

La sua performance è un esempio di quella ignoranza a cui arriva il sapere, quando crede di poter acchiappare il mondo con le pinzette del proprio specialismo. Perché Rezza parla di cose che non ha approfondito, con l’ironia di chi le guarda dall’alto: «Io sono romanista – dice -, e per com’è andata direi: tutto a monte, ah ah ah». Poi, sfiora il merito della vicenda, liquidandola con una battuta che scientificamente vale meno di zero: «Lo sport implica contatti, l’ipotesi di più tamponi per tutti i calciatori mi sembra un po’ tirata». Infine chiude con un’esortazione a ridimensionare le ragioni del calcio, rispetto alla grandezza delle questioni di cui lui si occupa: «Del resto siamo a maggio – dice -. Suvvia!».

Suvvia, Rezza, cosa vuole che sia per uno scienziato un campionato che si ferma, cinquecento milioni che volano via, un’economia sportiva che scoppia come una bolla di sapone, travolgendo un indotto amministrativo e mediatico. Cosa vuole che sia, per un Paese blindato in casa, rinunciare a quelle passioni superstiti che potrebbero essere un balsamo contro la depressione? Gli scienziati valutano la gravità di un’epidemia con le loro conoscenze e i loro protocolli, ma non possono assumere decisioni politiche che, anche in condizioni eccezionali, devono tener conto di costi sociali ed economici.

Suvvia, Rezza, lei concede che «tocca alla politica decidere», ma non può non rendersi conto che tale concessione suona un po’ ipocrita. E somiglia a un altolà. Come a dire: provi la politica a fare il contrario di ciò che io penso. Certo, non c’è da stupirsi: nel Paese in cui il premier trasforma un discorso alla nazione in un comizio elettorale contro i suoi avversari, anche i tecnici possono permettersi di sfidare il governo sulla pubblica piazza. Pensavamo che il potere senza sapere fosse la più crudele autopunizione che una comunità potesse infliggersi. Ci eravamo sbagliati: il sapere che si autoproclama potere può fare peggio.

Suvvia, Rezza, ha visto quanta gente la tira per la giacchetta? C’è il presidente del Torino e di Rcs, Urbano Cairo, che a tempo di record si è tuffato sulla sua gaffe: «Lui è un uomo di scienza e io mi intendo di numeri – ha detto –, con la situazione attuale è impensabile giocare tra un mese e mezzo». C’è da sperare che i numeri della pandemia vadano meglio di quelli in classifica del Torino, a un passo dalla zona retrocessione.

Suvvia, Rezza, abbiamo bisogno di scienziati che ci portino fuori da quest’inferno. Non di scienziati comunicatori che si abituano a sentirsi in tv come nel salotto di casa. Spenga la pandemia, se può. La tv la spegniamo noi, la prossima volta che lei parla di calcio.


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