Ministro, proviamoci

Ministro, proviamoci© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni
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Signor Ministro, oggi incontrerà il calcio di Serie A per un confronto su protocollo sanitario, tempi necessari, rischi e procedure dal quale potrebbe uscire una risoluzione che, viste le premesse, ci auguriamo non sia definitiva.

Non posso neppure pensare che lei non ami il calcio o, peggio ancora, che da esponente del Governo e Ministro dello Sport poco la interessi. Se tuttavia così non fosse, la prego di non far pagare l’eventuale indifferenza a chi del calcio ha fatto la passione della vita, milioni di italiani, o un lavoro gratificante.

Non la metto giù dura ricordando di nuovo l’impatto economico del pallone sui conti dello Stato e sullo sport italiano. Mi permetta però una domanda: sul gettito fiscale del calcio, 1,3 miliardi, si applica il 32% da destinare a Sport e Salute, come si pensa di distribuire valore per mantenere lo sport, se non lo si produce? Ma non insisto: ha già dei suggeritori eccellenti sempre pronti a banalizzare i numeri. Credo di essere in grado di assicurarle che se aspetteremo il rischio zero salterà anche la ‘20-’21: perderemmo così due stagioni, non una, oltre a un sacco di club straindebitati non per colpa del virus ma dell’ignavia, male antico e inguaribile.

Mi rendo conto che prendere una decisione così importante comporti rischi enormi anche in termini di impopolarità e immagino che da settimane lei sia sottoposto a pressioni indicibili: chi la tira per la giacchetta da una parte e chi dall’altra. Si fidi di chi non conosce ancora, conceda al calcio la possibilità di provarci e soprattutto costringa i presidenti ad azzerare le polemiche e le discussioni generate da urgenze esclusivamente personali. Pare che alla fine la forza della ragione e la sensibilità di un presidente di Lega finalmente persuasivo abbiano sconfitto i disfattisti e i loro interessi di bottega: se non avessero perso tempo cercando di alimentare la confusione, usando tutti i mezzi a loro disposizione, inclusi alcuni atleti compiacenti, oggi avremmo un protocollo di sicurezza serio e una tempistica praticabile.

Capisco - lo ammetto - i medici sportivi: non vogliono grane. Faccio comunque presente che hanno il dovere di considerare tutte le soluzioni e al tempo stesso di riflettere sull’eroismo di migliaia di loro colleghi che hanno dato la vita per salvarne tante senza un secondo scopo, solo per quel benedetto giuramento che non hanno dimenticato o camuffato per prudenza o peggio. Li inviti a confrontarsi con i medici della Germania dove le attività calcistiche riprenderanno per due motivi essenziali: 1) i tedeschi sono pragmatici e non cialtroni come molti di noi, quindi adotteranno tutti i dispositivi necessari; 2) la pandemia è stata controllata e contenuta fin dall’inizio in modo efficace.

Le chiedo infine: cosa potremmo rispondere all’Uefa titolare delle competizioni internazionali se a differenza di Germania, Inghilterra e Spagna non completassimo la stagione? Che ci siamo incartati? Si renda conto, nel momento di decidere, che il tempo sprecato in ipotetiche ricerche del meglio ci ha fatto perdere il vantaggio ottenuto non per decreto ma per il sacrificio di tante vite che ci ha avvicinato al segreto della morte aiutandoci a svelarlo, almeno in parte, e a combatterlo con risultati che ci fanno meritare l’encomio e l’emulazione del resto del mondo. Una volta tanto la formula “all’italiana” vuol dire capacità, non furberia. Ci dia una mano. Quantomeno a provarci.

PS. Sì, il calcio di Serie A è uno sport di “privilegiati”: almeno cento su seicento guadagnano milioni potendo sfruttare un talento che non è di tutti e facendo la cosa che più amano. Ma producono spettacolo, emozioni, altro denaro. Creano posti di lavoro. «I privilegi di cui non si è beneficiati sono assolutamente inammissibili», giusto un pensierino di Audouard.


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