Renzi esclusivo: "Il calcio viva!"

La passione per il pallone, l’esperienza arbitrale, la ripartenza del Paese: «Occorre accelerare la riapertura, anche il campionato deve ricominciare con le giuste modalità, il calcio è un valore per l’Italia e significa normalità»
Renzi esclusivo: "Il calcio viva!"© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni
4 min

«Scusa il ritardo, sto chiudendo il mio meraviglioso libro. L’avevo già terminato, ma per ragioni che puoi facilmente intuire ho dovuto rivedere un paio di capitoli. Ho fatto tutto da solo, anche quand’ero a Palazzo Chigi i discorsi li scrivevo io. Partiamo?».

Partiamo, in fondo l’arbitro è lei.

«Se non sai giocare a calcio fai l’arbitro, se non sai fare l’arbitro fai politica».

Il postulato di Renzi.

«Solo una battuta che circolava in sezione, solo una battuta. Come calciatore non ero male, ma parliamo di Allievi provinciali della Rignanese, titolare senza discussioni. A sedici anni ho tentato la strada dell’arbitraggio, un’esperienza gigantesca di carattere».

Provi a convincermi.

«Ragazzino, vai ad arbitrare nei paesi e la prima cosa che cerchi è il campo sportivo, i vecchi ti insegnano che si riconosce dai lampioni più alti. Ti senti terribilmente e meravigliosamente solo. Quell’esperienza, dal 1991 al ’95, è stata una delle più formative della mia vita».

Le ha mai buscate? Non dica bugie.

«Menato, mai. Le persone civili ci sono sempre state. Qualche insulto rivolto alla mamma, alla fidanzata, alla sorella lo si metteva in conto. Bisognava “segnarsi” in particolare quando si andava ad arbitrare in Garfagnana, in Maremma o in alcune zone dell’Aretino. Facevo parte della sezione Poderini, poi Zoli. Con noi c’era un giovane arbitro, di due anni più vecchio e di un’altra categoria, già allora il più bravo di tutti, Gianluca Rocchi. Della stessa covata era Pierpaoli. Nicola ha diretto cinque, sei partite in A, è quello della sfuriata di Cassano». [...]

Renzi, in queste settimane sembrava dilagare la demonizzazione del calcio.

«Al calcio arrivo subito. La cosa che mi preoccupa maggiormente è un pensiero che sta prendendo sempre più piede ed quello che lo sport sia nemico della salute. Lo trovo aberrante. Per anni abbiamo abbinato il concetto di wellness all’attività sportiva, alla fisicità, e ora, improvvisamente, neghiamo l’importanza dello sport che perdippiù allenta la tensione e ci aiuta a vivere meglio. Sport anche come momento di crescita sociale, non più come – lasciamelo dire – “avanzatempo”. La nostra società è tenuta in piedi da milioni di volontari, lo sport ne allinea almeno 3, 4 milioni. Sono i genitori che portano i figli in palestra, è il piccolo imprenditore che paga le tute e le borse alla squadra del paese, o chi gestisce il circolo del tennis. Una ricchezza che non possiamo permetterci di disperdere. Bisogna far ripartire in fretta la macchina, il lockdown era giustificato a inizio marzo, ma le cose sono cambiate. Chiarisco subito».

Chiarisca.

«Premesso che il rischio zero non esiste, noi avevamo 4.500 posti in terapia intensiva, tremila dei quali occupati. La preoccupazione più seria derivava dal fatto che avremmo potuto non essere in grado di curare anche gli extra Covid-19, l’infartuato, la vittima di un incidente stradale, la persona colpita da ictus. Ora i posti sono 9.000, 2.000 quelli impegnati. Il numero dei contagiati è in calo. Bisogna fare i conti con una realtà che ci impone di riaprire l’Italia, sempre in sicurezza e con le restrizioni che si sono rese necessarie».

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