Milan 1967/68-Milan 1987/1988: Gullit show con Sacchi. Anche Rocco si arrende

In campo la storia del Milan: due squadre ricche di stelle ma opposte per filosofia. Prevale la forza del collettivo del tecnico di Fusignano
Milan 1967/68-Milan 1987/1988: Gullit show con Sacchi. Anche Rocco si arrende
Roberto Perrone
5 min

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Una sfida elettrizzante che attraversa la storia, non solo del Milan, ma anche del calcio italiano ed europeo. Due allenatori, due squadre, due modi di vedere il gioco apparentemente agli antipodi, ma in realtà vicini perché per entrambe le guide in panchina, il ruolo dell’allenatore è fondamentale. Il tecnico non è un semplice manovratore, ma un deus ex machina che dà la linea politica, prima ancora che tattica.

Le due squadre si presentano con due novità in panchina. Beh, proprio novità Nereo Rocco non è: si tratta del ritorno del “paròn” dopo quattro anni al Torino. Rocco è stato calciatore, ha alle sue spalle una lunghissima carriera prima da giocatore e poi da allenatore. Proprio con il Milan ha conquistato la prima Coppa dei Campioni del calcio italiano, nel 1963, superando il Benfica nella finale di Wembley. Al Milan, la solidità la fanno i presidenti e quindi, via Felice Riva e dentro Franco Carraro, Rocco trova di nuovo la sua isola felice. Anche il suo avversario, Sacchi è un rivoluzionario. Arrigo sta al calcio come Gualtiero Marchesi sta alla cucina. Può piacere o non piacere, può risultare amabile oppure no, ma c’è un prima e un dopo di lui.

Si affrontano dunque due squadre complete, la prima (1967-68) ha 11 giocatori nella Hall of Fame rossonera, la seconda (1987-88) ne conta 13. Due formazioni piene di calciatori indimenticabili. Da una parte Gianni Rivera, che sta per vincere il Pallone d’Oro, dall’altra Ruud Gullit che lo conquista al suo primo anno milanista. Nel primo campionato a 16 squadre del dopoguerra, il trascinatore è Pierino Prati, salito con prepotenza alla ribalta dal settore giovanile: il ragazzo realizza 15 gol (capocannoniere), ma segnano reti importanti anche Hamrin e Sormani e, naturalmente, Rivera. Il titolo arriva con quattro giornate di anticipo.

La squadra di Arrigo Sacchi, invece, non domina durante la stagione. Parte lenta alternando visioni del nuovo calcio predicato dalla corrente filosofica del “fusignanismo”. Rincorre il Napoli favorito, che un anno prima ha conquistato il primo titolo della sua storia. La rincorsa del Milan di Sacchi è stupefacente ed esaltante, se si pensa che dopo neanche dieci giornate Arrigo era indicato come candidato all’esonero. E già dal suo ingaggio, dopo una formidabile prova del Parma a San Siro in Coppa Italia, che aveva convinto Berlusconi, visionario come Sacchi, ad affidarsi all’allenatore di Fusignano, le battute si sprecavano: tornerà a vendere scarpe (uno dei suoi mestieri), non mangia il panettone.

Perché dunque è Arrigo con il suo prepotente 4-4-2 a battere il Milan di Nereo Rocco, un santone capace di attraversare diverse epoche? Perché quello che il Milan 1987-88, mette in campo, è la forza del collettivo che va al di là di quella dei singoli, che supplisce, anzi, i problemi dei singoli. Arrigo ha voluto con sé due olandesi, Ruud Gullit e Marco Van Basten, ma è sul primo che ricade gran parte della fatica e del carisma. Con il devastante trecciolone (9 gol) a dividersi il compito di segnare è Pietro Paolo Virdis con 12 centri. Giudicato sul viale del tramonto, il futuro cuoco e sommelier, capace di intercettare tante eccellenze enogastronomiche del nostro Paese, si rivela una risorsa sensazionale a cui Sacchi dà spazio. Marco Van Basten, “il cigno di Utrecht”, splendido e fragile, dopo un promettente avvio sparisce dalla squadra a causa di un infortunio alla caviglia che lo tiene fuori per sei mesi. Il Milan di Sacchi non è una macchina da gol, ma segna quelli occorrenti per vincere, come nella sfida con il suo antenato del 1968-69, portandosi in vantaggio con Virdis, subendo il pareggio di Hamrin, anziana ala amata dal paròn, ma segnando la rete decisiva con Ruud Gullit.

L’equilibrio della gara viene sovvertito dalla capacità del Milan di Sacchi di essere una squadra matura, aggressiva e capace di mettere in difficoltà i colleghi del 1967- 68 con un fuorigioco esasperato ma attento, in cui nulla è lasciato al caso e le geometrie sono perfette. Ci saranno Milan più forti, più splendidi, ma quello del 1987-88 lascia un segno inequivocabile nella storia, trasforma il suo gioco e quello italiano. Nulla sarà mai più come prima. Ancora adesso discutiamo del sacchismo, ci dividiamo, ci scontriamo. La forza di questa squadra è proprio questa. Non c’era prima, così, sintesi di Olanda e Italia. Non ci sarà più dopo.

 

 


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