La strategia dell'incertezza

La strategia dell'incertezza© ANSA
Alessandro Barbano
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Ci sono risposte che spiegano più di quello che dicono. E ci fanno capire che succede al Paese dove la ripresa della vita sta diventando un miraggio. Sentite allora come parla Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità e componente del comitato scientifico, che ha fieramente avversato ogni ipotesi di far ripartire il calcio. Interrogato da un giornalista del Corriere della Sera sulla decisione di tenere chiuse le scuole, risponde a questo modo: «Secondo i nostri modelli la scuola rappresenta un rischio significativo rispetto alla circolazione del virus». Dove, per modelli, il lettore deve intendere la tabelle matematiche di stima del rischio. Ineccepibile, si direbbe. E, a dire il vero, mentre vi parliamo la scuola è chiusa nella maggior parte dei paesi europei, fatta eccezione per la Svezia e la Danimarca. Però l’11 maggio il presidente Emmanuel Macron farà risuonare la campanella nelle aule francesi, contro il parere del suo sinedrio di scienziati. Perché mette a confronto gli stessi modelli matematici con i costi economici e sociali di una chiusura prolungata. Fa cioè una valutazione politica, in ragione della responsabilità che riveste. Che gli dà insieme la potestà di decidere e il dovere di rendere conto ai cittadini delle sue scelte. La stessa responsabilità fin qui non ha assunto il premier Giuseppe Conte, che della scuola si è addirittura dimenticato, l’altra sera in conferenza stampa. Che restasse chiusa era una circostanza certificata dai modelli del comitato scientifico?

Quanto al futuro delle lezioni in autunno, sentite ancora la risposta che dà, o piuttosto non dà, il presidente dell’Istituto superiore di sanità: «Dobbiamo vedere come evolve la circolazione del virus – dice -. Adesso è presto per dire quale sarà la situazione a settembre». Come vedete, Brusaferro si sente pienamente legittimato a comunicare questa incertezza, che pure sarà fonte di angoscia per milioni di famiglie. Perché la sua autorità virologica ha surrogato la maestà della politica. Come è già accaduto in altre stagioni della nostra storia repubblicana, un’autorità tecnica ha assunto la tutela della democrazia italiana. Non ha più la toga nera del magistrato militante, ma lo stetoscopio sul camice bianco. I colori cambiano, l’effetto è lo stesso. La scuola e il calcio sono due cose molto diverse. La scuola è fondamentale, è il pilastro su cui poggia una democrazia: la sua riapertura è una priorità assoluta, ma è anche un rischio obiettivo, per la massa di persone che mobilita tra generazioni diverse. Il calcio è inessenziale, ma è anche la più grande fabbrica di emozioni del Paese: muove un’economia che contribuisce con il suo gettito a finanziare l’intera filiera degli sport minori. La sua riapertura è meno decisiva, ma a porte chiuse è anche meno rischiosa.

Il calcio e la scuola meritano però lo stesso rispetto. Che significa modi e tempi certi per uscire dalla crisi. La politica senza coraggio invece maneggia l’incertezza come un paravento dietro cui nascondere la sua navigazione a vista. In un’imbarazzante diretta Facebook, il ministro dello Sport ieri ha insistito nel motivare la mancanza di una data per la ripresa del campionato con il rischio epidemiologico. Che pure è una funzione stimabile dalla scienza. E che chiama la politica ad assumere una strategia per fronteggiarlo, cioè a individuare un percorso, rettificabile finché si vuole, ma fondato su alcuni obiettivi. Spadafora, invece, è riuscito a parlare mezz’ora solo per convincere il calcio e i cittadini a farsi carico della sua confusione. Con tutto il rispetto, questo Paese merita ben altro.


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