Una scossa all’Italia del passo indietro

Una scossa all’Italia del passo indietro© ANSA
Alessandro Barbano
4 min

La fine del lockdown del calcio per mano delle Regioni è un caso politico. Perché smaschera la stupidità di un divieto, quello agli allenamenti individuali nei centri sportivi, che non ha base scientifica. Perché sconfessa apertamente la demagogia di un ministro, Vincenzo Spadafora, che nel momento più drammatico ha piegato il suo mandato a interessi che con lo Sport non hanno nulla a che vedere. Perché apre, con la deroga dei governatori democratici, uno dei quali, Nicola Zingaretti, è anche segretario del Pd, una dialettica, interna alla maggioranza, sulla necessità di accelerare la ripresa del Paese. E perché, da ultimo, dimostra come il boccino della crisi rischi di sfuggire di mano al governo, per finire in quella delle Regioni. Una circostanza, quest’ultima, che dovrebbe indurre il premier Giuseppe Conte a smorzare una certa intransigenza ideologica di qualche ministro, di cui proprio non si sente il bisogno dopo due mesi di divieti e privazioni. La Fase due si annuncia con una vigilia troppo macchinosa, in cui gli allentamenti del lockdown sono causa di equivoci, e onerose discussioni in punta di diritto e, talvolta, di etica civica: dall’incontro tra congiunti alle regole del footing, dal trasferimento nelle case al mare allo spostamento tra regioni. Mentre Roma s’impantana tra i suoi distinguo, frutto di una delicatissima mediazione tra gli scienziati e il governo, Madrid riapre bar e ristoranti, trasporti pubblici e uffici, passeggiate e ginnastica all’aperto con una semplice raccomandazione del premier alla prudenza e all’uso delle mascherine. Che lì sono già da giorni distribuite gratuitamente in tutti i mezzi pubblici e che qui, invece, fatichiamo a comprare a un prezzo civile.

La Spagna è entrata dopo di noi nel tunnel dei contagi e ne sta uscendo prima, con una semplicità che proprio ci è estranea. Per l’Italia, invece, la sindrome degli intralci si sta rivelando una complicanza politica e civile della pandemia, rendendo ambigua perfino la conta dei morti. Che ieri certificava un picco di 474 vittime, salvo poi constatare che erano stati aggiunti 280 decessi di aprile, mai registrati. Nel Paese dei cinquecento consulenti anche riaprire un campionato di calcio è un’impresa. Perché due mesi di stop hanno cristallizzato sul sistema una crosta di microinteressi, furbizie, posizioni di potere e posture depressive difficili da scalfire. Ogni tentativo di ritorno alla normalità incontra inciampi e dubbi paralizzanti: che succede se spunta un calciatore positivo? Chi risponde civilmente di eventuali infortuni indotti dal virus? Perché garantire agli atleti i tamponi che sono negati ai comuni cittadini? Persino la sicurezza sanitaria dell’arbitro in sala Var sembra un ostacolo insormontabile. Il tutto per la gloria o per la tasca di una classe dirigente meschina, distribuita equamente tra il calcio e la politica, abituata a nuotare e a speculare nell’economia dell’emergenza. Con un uso spregiudicato di intransigenza, demagogia, statalismo, deresponsabilizzazione, travestiti dalle migliori intenzioni. Come quelle esibite dal ministro Spadafora nelle dirette Facebook con il suo popolo di fedelissimi, con cui condivide l’idea che lo sport di base viene certamente prima del privilegiato calcio. Peccato che senza il gettito fiscale di Ronaldo e soci non c’è proprio trippa per l’universo amatoriale.

O si spezza questa burocrazia del passo indietro, o si affonda in una crisi spaventosa. Vale per il calcio come per qualunque attività del Paese in sonno. La Fase due pretende regole nuove, all’insegna di coraggio e responsabilità: come quelle che non hanno impedito ieri al Colonia di isolare i tre calciatori positivi e riprendere gli allenamenti con il resto della squadra. Cosa direbbe di questa pragmatica soluzione il comitato tecnico-scientifico che ha bocciato il protocollo del calcio italiano? Lo sapremo solo quando gli scienziati incontreranno il presidente della Figc, da giorni in attesa di una convocazione. Certo, il calcio non può pretendere una corsia preferenziale, se perfino alcuni ministri sono in deferente attesa di essere ricevuti. Ma prima o poi la politica, e il premier che la incarna in solitudine e con piena autorità, ci spieghi se quel sinedrio di sapere, insediato nel cuore della democrazia italiana, esprime ancora pareri, o piuttosto editti incontestabili.


© RIPRODUZIONE RISERVATA