Il libro sacro della quarantena

Il libro sacro della quarantena
Alessandro Barbano
4 min

Il calcio è uno sport di contatto, dice il comitato dei sacerdoti virologi, che centellina col contagocce oggi una sgambatura, domani un torello, dopodomani chissà. Ma il teatro? Il teatro riapre il primo giugno in tutta Italia con spettacoli e pubblico pagante. Vuol dire che il rischio del contagio è inversamente proporzionale alla capacità di pressione dei ministri. Franceschini, tirato per la giacchetta dal Festival di Ravenna, che dal 3 giugno apre i battenti, ha fatto le sue mosse e l’ha spuntata. Spadafora, strattonato da quei presidenti che non vogliono tornare a giocare, ha rafforzato le rigidità degli scienziati. Però lo Sport non ha l’anello al naso. E neanche i cittadini. Il via libera agli allenamenti collettivi non è una vera apertura, e neanche uno spiraglio concesso alla politica. Ma solo un finto passo indietro da chi non vuole che il campionato riparta, ed è pronto a sbarrargli la strada.

Il comitato tecnico scientifico dice che se spunta anche un solo contagiato, si fermano gli allenamenti collettivi. Se questo vale per gli atleti, non vale per gli attori. Che stanno già provando e tra venti giorni saranno in scena. Il sovrintendente dell’Opera di Roma annuncia a luglio un Rigoletto a Piazza di Siena con mille persone, tra uomini dello spettacolo e pubblico pagante, assicurando che un grande regista come Damiano Michieletto saprà renderci la suggestione dei duetti amorosi del Duca di Mantova con le sue dame irretite, anche in posture da distanziamento sociale. Ma non pigliamoci in giro: gli sputi dei calciatori sono nulla rispetto alla saliva che sgorga dall’ugola dei cantanti, ogni qualvolta intonano un “la”.

La verità è ideologica, o moralistica, se preferite. La cultura ha la dignità per stare nella ristretta cerchia delle passioni non interdette della Fase due. Il calcio no. Aiuto, sembra di stare in un romanzo di Orwell, “La fattoria degli animali”, al cospetto di quei maiali che ci riducono in schiavitù, cercando di convincerci che lo fanno per il nostro bene.

Ora la politica deve svegliarsi. E pretendere spiegazioni scientifiche, non divieti apodittici, per ogni limitazione della libertà personale. Che non può essere patteggiata tra governo e autorità del sapere senza che il Parlamento deliberi o, come è accaduto finora, senza che venga consultato. La crociata dei nemici del calcio imbraccia un testo sacro: è il decreto del 21 febbraio scorso, dettato dal comitato tecnico scientifico e adottato dal presidente del Consiglio con un atto monocratico che non ha riscontro nella prassi istituzionale e nella storia repubblicana. All’articolo 1 c’è scritto che l’autorità sanitaria dispone la quarantena obbligatoria di quattordici giorni per tutti i contatti stretti del contagiato. Questa disposizione, assunta nel pieno della pandemia, va modificata dal Parlamento sovrano, perché non risponde più a una verità scientifica ma a una logica burocratica: la curva del virus è in remissione, l’incubazione è di 5-7 giorni al massimo e la tecnologia dei tamponi consente di escludere il contagio in tempi brevissimi. Le forze politiche hanno il dovere-diritto di riesaminare quel testo ed emendarlo. È questa la battaglia civile del calcio, ma anche del Paese che vuole ripartire.

Ma il calcio è solo. Il suo ministro non ama questo sport e lo ha confermato ieri sera annunciando in tivù la ripresa degli allenamenti con l’espressione contrariata di chi è costretto a dire ciò che non vuole. Al giornalista del Tg1 che gli chiedeva “buone notizie sulla ripresa del campionato”, lui ha risposto che farà riaprire le palestre. Ci vuole coraggio.


© RIPRODUZIONE RISERVATA