Juve-Napoli, la Supercolpa

Juve-Napoli, la Supercolpa© ANSA
Ivan Zazzaroni
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ROMA - Ha vinto la squadra più decisa, non la più in forma. Non lo dico io: l’ha detto il Napoli che per tutta la partita, salvo rarissime e peraltro pericolosissime iniziative, ha denunciato con un atteggiamento fin troppo cauto una sorta di incomprensibile sudditanza, un’ingiustifi cata soggezione, specie dopo aver visto come la Juve era uscita da San Siro. Ha avuto anche la possibilità di aggiustare il risultato, il Napoli, e per ben tre volte, ma questo conforta il mio giudizio: la prima con Lozano, la seconda con Insigne, quando Valeri ha assegnato il rigore per un fallo di McKennie su Mertens e Lorenzo non ha nemmeno centrato la porta, infine nei secondi conclusivi: Szczesny ha però compiuto un autentico miracolo su una deviazione ravvicinata e casuale di Chiellini.

Brutta finale, brutta come solo una finale tra Juve e Napoli sa esserlo. A lungo tattica - l’aggettivo facile - fino alla noia, in particolare nel primo tempo, con una squadra, quella di Pirlo, che non sta benissimo ma cercava ugualmente di fare qualcosa di più e l’altra che aveva scelto di investire sulla copertura degli spazi e sul contropiede dopo aver lasciato nello spogliatoio i copioni più coraggiosi. Limitati gli accenti imprevedibili, evidente da entrambe le parti la preoccupazione di sbagliare. Per un istante, intorno al settantesimo, ho addirittura pensato che il Napoli stesse difendendo lo 0 a 1.

Non la miglior Juve, quella vista ieri a Reggio Emilia: più logica e aggressiva rispetto a domenica, certamente più dinamica con gli ingressi a centrocampo di McKennie, Kulusevski e l’intraprendenza di Cuadrado, recuperato all’ultimo. La vittoria le serve per abbassare la temperatura intorno a sé e consegna a Pirlo il primo trofeo della carriera di allenatore.

Comprensibili le lacrime di Insigne, ma credo che il Napoli nel suo complesso possa rammaricarsi per non aver fatto il possibile per vincere: le condizioni c’erano tutte. Questa squadra non è più in grado di giocare una partita intelligentemente difensiva (tipo l’1- 1 con il Barcellona al Maradona), la sua natura è cambiata radicalmente da quando Gattuso l’ha ereditata: ora deve guardare sempre avanti e poco indietro, perché la difesa ha la cazzata incorporata, mentre tanto il centrocampo quanto l’attacco sono “da proposta continua”.

Ai tempi del Milan Allegri spiegò con una battuta che Gattuso portava il piano e Pirlo lo suonava. A Reggio, a parte qualche stonatura, la cosa siè ripetuta.

Annotazione finale: ogni giorno raccontiamo la crisi di liquidità del calcio italiano, penso però che un minimo di attenzione sulla condizione dei terreni i nostri club dovrebbero averla, anche perché complicando il compito ai giocatori e mostrando campi poco curati (Marassi, l’Olimpico, Il Mapei Stadium e altri) fi niscono per esportare un prodotto e un’immagine assolutamente scadenti. 


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