Il primo a vagheggiare la superlega dei ricchi e vincenti fu Silvio Berlusconi nella seconda metà degli Ottanta. L’idea del cav (ormai ex) venne rilanciata a più riprese anche per esercitare pressioni sull’Uefa organizzatrice della Champions. Quando nel 2000 il basket giocò la carta Eurolega, il torneo di proprietà al quale si ispira l’attuale progetto, si riaccese la lampadina.
I top club ci riprovarono nell’estate 2016 incontrandosi più volte a Zurigo: tra i sempre presenti, Ivan Gazidis (allora all’Arsenal), Galliani e Gandini (Milan), Agnelli e Marotta (Juve), Bartomeu (Barcellona), Pedro Lòpez (Real), Rummenigge (Bayern), i rappresentanti di Manchester United e Chelsea. L’anno scorso il tentativo più deciso - Agnelli e Florentino i leader della svolta -, propedeutico al progetto che in queste ore sta allarmando il calcio continentale.
Con i conti in rosso e le casse urlanti non solo a causa della pandemia, Juve, Inter e Milan, ma anche Barcellona e Real e gli altri sette firmatari, hanno individuato un solo modo per aumentare considerevolmente i ricavi e aggiustare i conti, il percorso opposto alla Brexit: si trascura il Paese natìo per abbracciare l’Europa. Anche se l’Europa, in questo caso l’Uefa, non è affatto contenta.
Dalle nostre parti la prospettiva della Superlega ha avuto l’effetto (disastroso) di aumentare una conflittualità che, tra divisioni sui fondi e sui diritti tv e qualche schiaffo, aveva già superato il livello di guardia. Molte cose hanno però trovato una spiegazione: in particolare la sorprendente retromarcia di Juve, Inter e Milan proprio sui fondi d’investimento e gli attacchi a Dal Pino, offeso e sfiduciato pubblicamente con tanto di possibile richiesta dei danni. Singolare, a tal proposito, l’atteggiamento di alcuni club medi e piccoli che continuano a pendere dalle labbra dei potenti trascurando l’aspetto del possibile crollo dell’interesse e dei ricavi della serie A.
Ieri a Montreux, dove si tiene uno dei più importanti festival del jazz (e dove, purtroppo, il primo marzo di nove anni fa morì Lucio Dalla) hanno suonato altri strumenti, tromboni, piatti e percussioni, in una singolare jam session di interessi divergenti, aggressioni verbali e minacce: al grido “no pasaràn”, e sostenuto dalle principali leghe e federazioni, Ceferin ha smontato il castello prospettando una causa da 50 miliardi.
Dazn ha smentito di rientrare nel progetto, sottolineando di voler tutelare gli interessi dei campionati nazionali. E l’investimento. Di certo c’è che chi ha firmato l’accordo per la Superlega non può averlo fatto senza le necessarie coperture finanziarie di un broadcaster europeo incaricato di distribuire i contenuti.