Superlega, i fan come polli e lo show come mangime

Forse ci salveranno gli allenatori “umanisti”
Superlega, i fan come polli e lo show come mangime
Giancarlo Dotto
5 min

"Terremoto”, “choc”, “trauma”, “orrore”, i titoli più gettonati a dare l’idea dello sfregio epocale. Lo scontro è frontale, forse anche mortale. Giocando sulla sinistra assonanza tra Superlega e Superga, l’impatto emotivo di qualcosa che precipita e si schianta in modo incomprensibile contro un sistema calcio pieno di falle, ma non così fallato da non scoprire di avere ancora uno straccio d’anima nelle macerie. Schianto micidiale con una scia metaforica di morti e feriti ancora tutti da conteggiare.

 La pandemia, per niente estranea a questo meteorite piombato nottetempo sul mondo pallone, ci ha abituato a sviscerare, se vuoi anche per sopravvivenza, il buono dal pessimo. L’aggressione di Perez e compari ha acceso una solidarietà inverosimile, anche solo a pensarla, tra i potentati del calcio fino al giorno prima invischiati nelle loro beghe di bottega. Messo insieme dirigenti, allenatori, calciatori, governi, tutto o quasi il mainstream della comunicazione.

Tutto si dice e tutto si dirà in queste ore. Assurdo e ridicolo chiamare questa losca faccenda una “guerra di religione”, presentarla come un “conflitto tra il bene e il male” , “i buoni e i cattivi”. In guerra qui sono due soggetti che discendono dalla stessa matrice. Lo sfruttamento intensivo del sistema calcio e lo stupro del tifoso, da soggetto rilevante di un rito che nasce come religioso e tribale a mucca da mungere fi no all’ultima stilla. La costola che si è staccata nella notte dei lunghi coltelli, una costolona, porta il concetto all’esasperazione. La cancellazione definitiva del tifoso, ridotto a un pupazzo un po’ coglione da ingozzare a tempo pieno con l’idea di un super musica dell’ultimo Perez, nella versione grottesca e spudorata del “salvatore della patria”) che è pura plastica, mangime per polli d’allevamento. Roba per lobotomizzati.

A proposito di metafore bovine e mucche da mungere, questa della Superlega non è altro che l’ultimo atto di una storia che parte da molto lontano. Che inizia con la sostituzione del miraggio divino con quello pagano, Mosè disperso dietro ai suoi deliri sul Sinai a caccia di tavole e Aronne che s’inventa il nuovo idolo, il vitello d’oro, il feticcio da dare in pasto alle masse adoranti e ci mette su a tempo di record un altare. Nottetempo, come si fa con le azioni ribalde.

Nel caso della Superlega, matti da superlegare, non c’è una regia umana, tantomeno divina (Florentino Perez e Aleksander Ceferin sono la parodia nana di Aronne e Mosè. «Inventaci un Dio che ci salvi, che ci restituisca il nostro cammino…» è in questo caso l’invocazione di una dozzina di satrapi che ridurrebbero a un’economia da show anche una veglia funebre).

Riduttivo e miope trattarlo come un episodio di eccentrica barbarie, questo calcio negato come sfida dei propri presunti limiti e la vulnerabilità della propria presunta grandezza come sogno collettivo di miti e di storie, di conquiste e di cadute. Perez e soci sono i miserevoli burattini di una scrittura che non ha una firma visibile su cui scaricare la colpa. Ma è lo stesso processo, ovunque ti giri. Nella polverizzazione antropologica del “caso umano”. L’umano non sopporta più di essere umano. Un esempio eclatante sotto gli occhi di tutti? La televisione di oggi confrontata con quella di ieri. L’idiota tirannia dei tempi televisivi o radiofonici, la mutilazione del pensiero, a favore di una poltiglia indecifrabile, un rumore che nessuno più scambia per ferita. La Superlega è il nuovo vitello d’oro. L’antefatto ennesimo del trasferimento imminente della cosa umana in una cosa umanoide e poi totalmente non umana.

Ancora una volta, guardatevi intorno. Gli autori più abili e strapagati degli studios sono tutti reclutati a scrivere soggetti per serie televisive che raccontano come la tecnologia sia in prima linea asservita a questa cancellazione del “caso umano”. Agli occhi super illegali degli adoratori del vitello d’oro siamo tutti “casi umani”. Avanzi di un mondo superato. Probabilmente hanno ragione. Che siano loro a dirlo, e non un androide costruito in laboratorio, è la nefandezza. Diego Armando Maradona, dove sei? Facci sapere, ovunque tu sia. Ne vedremo e ne sentiremo delle belle. Per dirne una, allenatori umanisti, “casi umani” come Guardiola e Klopp al timone di storie che loro per primi, in pubblico e in privato, non potranno che definire oscene.

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