© Getty Images Riapertura stadi, Vezzali alla Spadafora
La chiamano ancora “verità siciliana”, ma in realtà le parole di Tancredi nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa meriterebbero d’essere scolpite all’ingresso del Palazzo, quale che sia il potere che ospita: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Se gradite anche una citazione piemontese (Carlo Levi), le parole sono pietre. E ce le tirano addosso tutti i giorni, buoni o cattivi che siamo (Antoine). E abbiamo fatto il pieno. Di illusioni e di rabbia. Noi che sappiamo esaltare - a ragione - il Mancini che fa da cinque a otto cambi nello spazio di una partita. E ci porta nel mistero senza fine bello del gioco del pallone.
«Saranno la cabina di regia di Palazzo Chigi e le indicazioni che giungeranno dal Cts a dettare i tempi e le modalità della riapertura al pubblico in piena sicurezza degli impianti sportivi» ci dissero, innovando l’iter drammatico della pandemia applicata allo sport. Ed eccoci tornati ai tempi cupissimi di Vincenzo Spadafora: purtroppo quelle parole da modulo prestampato sono state pronunciate dalla sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali, che ha così risposto alle richieste formulate dalla Lega calcio sulla riapertura degli stadi a partire dalla stagione ’21-22. Vezzali ha proseguito spiegando che «ad oggi parlare di percentuali, green pass o altre ipotesi rappresenta un puro esercizio di retorica che non rispetta, soprattutto, tifosi e appassionati».
Ci siamo. Il partito più forte di ogni compagine governativa non è - come avrebbe voluto, avendone anche i voti - il Grillismo, bensì il Gattopardismo. Buono per tutte le stagioni e per tutte le ideologie, perché le precede: non è il premier, il ministro, o il viceministro, o il sottosegretario che conta, ma il capodivisione (chiamatelo come vi pare) che il suo culo a Palazzo ce lo tiene da anni, mentre le gerarchie politiche cambiano. Perché nulla cambi. Ricordare che da Spadafora a Vezzali le curve e i numeri della pandemia sono radicalmente cambiati è quasi imbarazzante: oggi milioni di italiani risultano immunizzati e esiste uno strumento che ne certifica l’avvenuta vaccinazione. Allora mi domando perché mai a metà aprile, con una situazione non migliore dell’attuale, il Governo autorizzò l’apertura parziale (25%) dell’Olimpico per l’Europeo e tre mesi dopo parlare di percentuali «rappresenta un puro esercizio di retorica». Il cento per cento è stata la richiesta, nel suk di disperazione diffusa: l’apertura limitata ai possessori di green pass è la soluzione in grado attenuare gli effetti della crisi del calcio, oltre che degli altri sport che hanno uguali diritti e ricavi ridicoli. Vezzali è (era?) donna di sport, non come Spadafora, e quando un giorno dovrà lasciare l’incarico non ci sorprenderà chiarendo di essere stata catapultata in un mondo che non conosceva. Come può, proprio lei, fornire risposte identiche a quelle del predecessore e non incoraggiare lo scatto di un settore che non è in grado di sopravvivere a lungo senza il pubblico? E poi chi le ha raccontato che la richiesta di riaprire parzialmente gli stadi non rispetta i tifosi e gli appassionati? Semplicemente chi le risposte importanti le chiede al capodivisione. Oppure, come dicono i mestatori sconfitti dall’Italia del premier Mancini, da Leo Bonucci.
Il “ricattino” arabo
Ieri è circolata la notizia di una possibile triangolazione Arabia Saudita-Marocco-Italia per l’organizzazione dei Mondiali 2030. Sapendo che Federcalcio e Governo non sosterrebbero mai una candidatura intercontinentale del genere, avanzo un malizioso sospetto: stai a vedere che il no dell’Italia è all’origine del mancato accordo con gli arabi sui diritti televisivi. Inizialmente si parlò di 120 milioni l’anno per la trasmissione della serie A in quelle zone, offerta che avrebbe pareggiato quella dei qatariani; in seguito i milioni scesero a sessanta, ma sulla proposta ufficiale mancò una firma che - per via della freddezza e dello scarso impegno a trattare mostrati dai nostri - non è mai arrivata…
